La bellezza del bene comune, in risposta a Parliamone (con articoli correlati)

La bellezza del bene comune, in risposta a Parliamone
di Alessio Masone – 11 dicembre 2009

Avevo scritto con cuore aperto e trasparente, partendo dal particolare (Parliamone) per parlare del generale (l’associazionismo).
Avevo approfittato per parlare di cambiamento dal basso che, sebbene di moda, è un concetto conosciuto solo tramite i luoghi comuni. Penso di avere l’esperienza e il diritto di confrontarmi sull’argomento, senza timore di essere accusato di pretenderne l’esclusiva, come temerariamente afferma Jean Pierre el Kozeh.

Avevo scritto sponsorizzando un’osmosi tra l’associazionismo, in generale, e un politico illuminato (Nazzareno Orlando) che, senza alcuni chiarimenti costruttivi, non potrebbe realizzarsi. E invece, per insicurezza, in risposta, ho ricevuto solo vacua ostilità: ai miei meditati contenuti non si è risposto con costruttive riflessioni ma, con elusiva retorica, tramite domande e accuse. Parliamone vuole promuovere il confronto, ma, quando ciò le riguarda da vicino, il confronto non è più bene accetto.
Questa alzata di scudi, da parte di due esponenti culturali di destra che non vivono il territorio, ma la capitale d’Italia, è dannosa per la credibilità di Parliamone, associazione che vuole dichiararsi apolitica e per le attività dal basso. Ancora di più dannosa, quando l’intervento è firmato da chi, negli anni dell’assessorato di Orlando, gestiva buona parte delle attività culturali promosse dal Comune di Benevento: con fare controproducente, ha riacceso gli animi e le lamentele di tutti quegli artisti e di quei musicisti che non erano graditi da El Kozeh.

El Kozeh, lamentando che le associazioni, nelle loro censure, non sono entrate nel merito delle attività organizzate da Parliamone, non ha considerato che, per tatto e per rispetto della biodiversità delle proposte, noi non abbiamo voluto giudicare le singole attività, ma solo l’impostazione. Comunque, se sollecitati a esprimerci, dobbiamo dire che le attività di Parliamone, almeno quelle che conosciamo, sono generiche adesioni a iniziative promosse da altri, a livello mondiale (La giornata della lentezza, 100 piazze per il clima), oppure generiche attività per rilevare i disagi della popolazione locale, senza utilizzare una specifica visione per decodificare la società in cambiamento (piattaforma logica). Preferendo i processi culturali orizzontali, diffido delle iniziative che, calate identicamente su tutto il pianeta, sono incentivatrici, al di là dell’obiettivo, di un paradigma omologante e spersonalizzante.
Le attività della Rete Arcobaleno, che non è riduttivamente una rete ecologista, ma una rete per un’economia ecosolidale (quindi, per un approccio integrato), sono tutte nate sul territorio, senza condizionamenti diretti di realtà esterne al territorio. Una coraggiosa scommessa, visto il rischio di isolarsi in un panorama culturale ristretto. Ma la scommessa di valorizzare idee espressive delle identità territoriali, per ora, si è dimostrata un’intuizione fertile: a tre anni dalla costituzione, le attività della Rete Arcobaleno sono state oggetto dell’indagine di due tesi di laurea. Difficilmente, l’appello, a esporre fazzoletti azzurri alle finestre per contrastare i cambiamenti climatici, sarà oggetto di una tesi di laurea, almeno fino a quando Orlando non sarà docente universitario.

Per il resto del suo intervento, El Kozeh ha parlato fumosamente senza entrare mai nel merito dei contenuti delle mie articolate affermazioni (http://www.campaniapress.com/?p=3792). Unico suo contenuto è stato, per evitare di rispondere sul doppio ruolo di Orlando (esponente di un partito verticistico e di un’associazione dal basso), l’accusarmi di vivere anch’io una duplice contaddittoria posizione (“vendere libri di carta che contribuiscono alla distruzione delle foreste ed essere promotore della rete ecologista Arcobaleno”). Questa affermazione, ridicola nei contenuti, meriterebbe una replica solo a una fermata dell’autobus.

El Kozeh e Desiderio hanno usato, forse, in mancanza di contenuti incisivi, un linguaggio retorico per persuaderci, almeno, con la forma. Ai miei interlocutori devo dare un’altra brutta notizia: il cambiamento dal basso è un approccio che pervade anche il modo di fare cultura, facendosi portatore di processi culturali orizzontali che si contrappongono al verticismo sociale. Anche nello scrivere, la sfida è utilizzare un linguaggio comune per ottenere bellezza, perché questa è insita nell’energia generata nel perseguire giustizia e cambiamento. I nostri tempi, se vogliamo dare risposte concrete a una società in cambiamento, hanno bisogno di una dialettica che utilizzi un linguaggio franco, esperienziale e finalizzato ai contenuti. Anche per questo, sono cofondatore di Art’Empori (La comunità dell’arte biodiversa, indipendente e orizzontale – www.artempori.wordpress.com).

Il cambiamento dal basso avviene attraverso una coesione sociale e una condivisione del territorio. Il linguaggio, quello più appropriato a ciò, deve recuperare la sua funzione originaria di contaminazione che trasforma tutte le parti coinvolte nel dibattito. Le parti, accomunate dal confronto, mettono in rete orizzontale le loro idee che sono, di fatto, emozioni che creano, appunto, coesione sociale. Parlare, funzionalizzando le energie al miglioramento del territorio, in quanto bene comune, ci consente una condivisione e un superamento dell’incomunicabilità.
Al contrario, quando si parla per difendere solo le proprie posizioni, si pone tra gli interlocutori una barriera fatta di un linguaggio retorico che, per quanto ben costruito, non possiede l’emozione e, quindi, la bellezza del bene comune.

Non basta che Orlando voglia incontrare la popolazione, se vuole agevolare un cambiamento dal basso: in questo caso, infatti, le affinità territoriali devono prevalere su quelle verticistiche. In pratica, nel proprio sentire, la condivisione del territorio, che lega Orlando a me, beneventano, diventa prioritaria su altre condivisioni che legano Orlando a El Kozeh o a Fini o al suo musicista preferito. Quindi, se Orlando è in buona fede, quando va nei rioni a conoscere le esigenze della popolazione, si apra, coerentemente, anche a tutti gli attori del territorio (comitati e associazioni) che vanno nella stessa direzione (al riguardo, segnalo il mio articolo “Il verticismo delle emozioni è contro il benessere del territorio”, apparso su Bmagzine di novembre e consultabile anche su http://artempori.wordpress.com/2009/11/23/il-verticismo-delle-emozioni-e-contro-il-benessere-del-territorio/ ).

L’espressione “cambiamento dal basso” porta alla mente quei dilettanti che vanno allo sbaraglio nell’agone sociale: invece, leggendo Desiderio ed El Kozeh, i dilettanti allo sbaraglio, sull’argomento “cambiamento dal basso”, risultano essere proprio quegli illustri nomi del mondo culturale. Nel tentare un mio stile propositivo, approfitto di questa querelle per far conoscere quel cambiamento dal basso che, a quanto pare, è ancora tanto sottovalutato, da non essere oggetto di approfondimento da parte di chi, godendo di una posizione di rendita nel mondo culturale, si avventura a trattarne.

Desiderio ha collegato il manicheismo al cambiamento dal basso che, sempre solo secondo lui, sarebbe fautore di una visione che divide il mondo in buoni e in cattivi. Non riesco a immaginere da dove lui abbia attinto questo concetto. Dividere il mondo in categorie è l’antitesi del cambiamento dal basso. L’approccio dal basso è caratterizzato dal non delegare, ad altri soggetti (politici e grandi aziende) e alle categorie, la visione del mondo: ogni cittadino è un consumatore che, con le sue scelte quotidiane, può decidere/agire a favore o a sfavore del mondo o di alcune parti di esso. Il consumatore critico è consapevole di essere attore, in varie gradazioni, del bene e del male del suo territorio e del pianeta: le sue azioni, avulse dalle categorie bene/male e destra/sinistra, sono capaci di miglior risultato, se realizzate, faticosamente, in prima persona e non delegate comodamente al sistema verticistico dei mass media, della politica e della grande economia. Vi sottopongo, di seguito, una brano del mio articolo “L’era di FB per delegare anche la comunicazione” che esce, in questi giorni, su Bmagazine di dicembre.

[...] Ma solo lo scegliere trasforma il mondo. Leggendo o ascoltando, alla TV, Saviano, ci emozioniamo, urliamo dentro di noi, ma, poi, nella nostra vita, quella che facciamo con le azioni, non quella che ascoltiamo o leggiamo, siamo rimasti uguali. A cosa serve che ci sia un solo Saviano che agisce, quando parla, se noi, compatti, restiamo, di fatto, immobili negli stili di vita? Abbiamo lasciato da solo Saviano e, se un giorno lo assassineranno, noi, sebbene complici, grideremo allo scandalo. Ma Saviano non corre questo rischio: i suoi nemici sanno bene che il suo parlare, in fin dei conti, non trasforma il mondo. Tutto resta identico a prima, grazie a noi. Se vogliamo trasformare il mondo, dobbiamo prenderci la briga di impegnarci in prima persona e con il nostro agire quotidiano, non con una lettura che, risollevando la nostra coscienza, ci dica che i cattivi sono gli altri. Delegare gli altri è solo un modo, comodo per noi e scomodo per il mondo, di lasciare che nulla cambi. [...]

E’ deludente che, quando un colto filosofo manca di contenuti da opporre, si comporti come un personaggio da pub, tentando la derisione del suo antagonista con frasette non suffragate da alcuna motivazione (“Non ho un Suv, ma sto pensando ci comprarmelo”). Per rispetto dei lettori, prego i sostenitori di Parliamone o, comunque, i detrattori della mia visione, che hanno intenzione di replicarmi, di farlo solo, dopo di essersi documentati sul fenomeno del “cambiamento dal basso”, così come io non mi avventuro a discettare, sui giornali, di musica e filosofia costringendo a chi, ne è competente, di dover prendere parola.

A Orlando suggerisco, come atteggiamento più produttivo, di contaminarsi delle istanze della Rete Arcobaleno: si avvalga del fatto che la presidentessa di Parliamone, Tullia Bartolini, sia anche cofondatrice di Art’Empori e componente della comunità di Benevento EcoSolidale. Un valente politico, di destra o di sinistra, deve essere un manager delle risorse del territorio che proficuamente sappia guardare oltre quegli steccati che limitano la crescita e il cambiamento della propria persona e, di conseguenza, del proprio territorio.


A proposito di Orlando e Masone: “Non ho un Suv, ma sto pensando di comprarmelo”
8 dicembre 2009  – di Giancristiano Desiderio

Vorrei dare un contributo piccolo piccolo, quindi breve – come il processo – alla discussione.
Che bella la polemica su l’Orlando: se non ci fosse andrebbe inventata. Ci ha pensato Alessio Masone con la rivoluzione del “cambiamento dal basso”: l’Orlando non può far parte della schiera di coloro che cambiano le cose dal basso perché già milita nella schiera di coloro che immobilizzano le cose dall’alto. Parliamone.
Una volta che i Bassi avranno “cambiato le cose” non diventeranno Alti?
I Bassi non diventeranno Alti perché cambieranno il mondo e nascerà la società nuova in cui trionferanno il consumo critico, la filiera corta, la cittadinanza attiva. I lupi non mangeranno più gli agnelli, i leoni leccheranno le gazzelle.
Ma queste cose – anche senza “approcciando esperienzialmente alla sostenibilità” – non le ho già sentite da qualche altra parte?
Il mondo diviso in Buoni e Cattivi – il manicheismo – è tanto rassicurante. Peccato che sia anche tanto falso. Come il marxismo di ieri, che sapeva di esserlo, e di oggi, che non sa più di essere marxismo.
L’idea cospirativa della Storia è rassicurante, anche a Benevento, perché ha una spiegazione per ogni cosa anche e soprattutto per le cose che non conosciamo: se il mondo va male è perché ci sono i cattivi, ma se tutti i buoni si uniscono vinceranno e il Grande Inganno o il Grande Complotto sarà scoperto perché la Storia, della quale noi conosciamo il segreto, va verso il rischiaramento assoluto delle cose.
Non ho un Suv, ma sto pensando ci comprarmelo.


El Kozeh difende l’attività associativa di Orlando: c’è bisogno di esempi concreti
7 dicembre 2009 - di Jean Pierre el Kozeh *

Quando due anni fa proposi ad alcuni amici di associarci in una formula che ricalcasse quella dell’ associazione Promemoria – caratterizzata dal fatto di coinvolgere su progetti concreti persone con orientamento politico diametralmente opposto ed esperienze professionali diverse – francamente non avrei creduto che un giorno avremmo destato un interesse mediatico tanto rilevante.
O meglio, speravo che se mai fosse avvenuto ciò sarebbe stato determinato dalle nostre attività e dai nostri progetti e non dalla presenza tra i nostri soci e promotori di Nazzareno Orlando.
Nel rispetto delle varie posizioni fin oggi pubblicate, invece, non posso fare a meno di notare che alcuno degli intervenuti ha espresso una sola opinione – positiva o negativa che sia – rispetto al merito delle attività dell’ associazione Parliamone mentre, invece, presidenti di quartiere ed animatori di benemerite associazioni – con argomentazioni e stili diversi – si sono trovati accumunati tutti contro l’anomalia Orlando.
A voler leggere tra le righe e a pensar male si potrebbe essere indotti a dedurre che qualcuno reputi di propria esclusiva pertinenza la difesa di alcuni territori, siano essi materiali – i quartieri – o immateriali – temi e questioni – e che quindi un’altra associazione che se ne occupi venga percepita come un competitor e dunque con fastidio e preoccupazione piuttosto che come un prezioso nuovo alleato .
Ma poiché io non sono un andreottiano convinto sono sicuro che a pensar male oltre che a far peccato si sbaglia anche e quindi cerco di salvare l’ anima abbandonando subito l’avventuroso terreno delle supposizioni a favore della meno perigliosa confutazione dialettica di argomentazioni che non mi convincono o da cui dissento.
Innanzitutto io credo – evidentemente al contrario di Alessio Masone – che il successo e l’appeal di una associazione sia determinata oltre che dalla sua capacità progettuale anche dalla sua capacità di azione e dallo stile con cui queste attività vengono realizzate; è riduttivo ed irrispettoso pensare che chi ha aderito a Parliamone lo abbia fatto per la presenza del politico più o meno noto e non perché abbia invece lì trovato spazio per le proprie idee o uno stile più affine alla propria persona.
Come credo sia riduttivo e fuori contestp – quello del XXI secolo più volte citato da Masone – il richiamo al conflitto d’interessi tra il politico Orlando e l’uomo dell’ impegno sociale: è proprio perché la politica oggi è troppo lontana dalla società civile che c’è bisogno di esempi concreti di persone che, avendo assunto cariche pubbliche, sappiano anche testimoniare attivamente, al di là dei palazzi del potere, la loro voglia di voler operare il cambiamento e soprattutto sappiano trovare modi di relazione con la società civile.
E mi sorprende non poco che l’ amico Masone per argomentare la sua posizione e “relegare” Orlando alla sua dimensione politica lo faccia chiedendogli – quasi fosse un novello dottor Jekyll con annessa controparte – se egli sia coerente con i proclamati principi dell’ impegno civile o invece connivente con sistemi malavitosi o di malcostume in quanto appartenente ad un sistema politico che, anche se ai massimi sistemi e quindi non alla sua portata, “non può non sapere”.
Questa domanda ha lo stesso vizio che avrebbe quella su che coerenza c’è tra vendere libri di carta che contribuiscono alla distruzione delle foreste ed essere promotore della rete ecologista Arcobaleno…
Io credo – come sono convinto che lo creda anche Masone – che il sistema, oltre che dal basso, lo si cambi dal di dentro: ben vengano quindi le associazioni, i comitati, i liberi consessi e tutto quello che è utile a coinvolgere, emozionare, convincere al cambiamento. D’altro canto ben venga il coinvolgimento in queste alte espressioni di vita democratica di esponenti del mondo politico se questo vuol dire poi, nelle scelte di governo della cosa pubblica, vincolarli ad un patto di coerenza con gli impegni assunti nell’ ambito sociale e civile.
Perché oggi c’è bisogno del contributo di tutti per aggregare una massa critica che determini cambiamento; c’è bisogno dell’ esperienza e della fantasia di molti per trovare nuove forme di coinvolgimento attivo; e soprattutto c’è bisogno che, quando si individuano obiettivi comuni, si sappiano trovare forme di collaborazione che indirizzino le energie verso il miglioramento reale della nostra qualità di vita.

* Socio fondatore associazione culturale “Parliamone”


 I ruoli della politica e dell’associazionismo: Parliamone
4 dicembre 2009  – di Alessio Masone *

La crisi delle ideologie e della democrazia rappresentativa, in corso nel XXI secolo, agevolerà, nella gestione dei beni comuni, un coinvolgimento dei cittadini, ormai attori politici, in qualità di consumatori critici, di associazioni per uno sviluppo sostenibile, di movimenti per la difesa del territorio e degli esclusi sociali. Stante la crisi dei sistemi di scala, in ambito economico, politico, sociale e ambientale, il modello verticistico, tipico dei partiti e delle grandi aziende, dovrà lasciare il passo a un modello orizzontale che, grazie a un cambiamento dal basso, potrà dare risposte alle emergenze sociali, occupazionali e di salubrità pubblica.

Ne consegue che alcuni uomini politici, quelli più capaci di contaminazione, vogliano intercettare le energie generate da una trasformazione sociale, sempre più incalzante: Nardone, con Futuridea, Orlando, con Parliamone, e Medici, con Palazzo di città, ne sono, solo, alcuni esempi.

Di per sé, il gesto, degli esponenti politici che familiarizzano con l’associazionismo, sembra avallare, velocizzandola, l’evoluzione sociale prevista. Ma, al di là della buona fede, in concreto, questo gesto tende a inficiare la portata rivoluzionaria del cambiamento dal basso.
Nell’attendere un processo di democratizzazione estrema della gestione pubblica, ci ritroveremmo esponenti politici capaci di controllare anche il mondo dell’associazionismo, come se, in parlamento, il presidente del partito di maggioranza, fosse anche il leader del partito di opposizione.
Come se la Coldiretti, ente nazionale a vocazione verticistica, volesse agevolare le attività di filiera corta tra produttore e consumatore: ne otterrebbe un risultato solo formale, disarmando, di fatto, un processo che spontaneamente sta spingendo i consumatori a relazionarsi ai piccoli produttori locali, in una, coesa e territoriale, “comunità del cibo”, perché la filiera corta non è solo un passaggio in meno, è, soprattutto, una forma mentis che non può essere calata dall’alto.
Come se le associazioni, culturali o ambientaliste, di carattere nazionale o internazionale, volessero, tramite i loro delegati sul territorio, essere protagoniste del cambiamento dal basso e della diffusione di una filiera corta: di fatto, avallano, con la loro ingombrante visibilità sovraterritoriale, un verticismo nei processi culturali e sociali.
Come se gli esponenti dell’associazionismo, una volta accettato gli incarichi presso gli enti territoriali, poi volessero continuare a essere parte del dibattito interno alle associazioni, senza avere più la garanzia di un’autonomia.

Quindi, nessuno è contro l’associazione Parliamone, di cui stimiamo, senza dubbio, i promotori. Si teme solo il duplice ruolo di Nazzareno Orlando: sebbene egli sia un’ottima persona, un politico colto e valente, la democrazia ha bisogno del pluralismo di quei ruoli che devono restare, garantisticamente, opposti, l’uno all’altro.
Anche per questo, è comprensibile il disagio di quelle associazioni che hanno difficoltà a radunare una manciata di partecipanti alle loro iniziative, mentre una specifica associazione, essendo promossa da un esponente politico, già assessore e, in futuro, probabile sindaco o deputato, riesce a coinvolgere frotte di simpatizzanti o, comunque, a riscuotere risonanza sul territorio.

Qualcuno ha scritto che Orlando, tramite l’associazione Parliamone, ha promosso iniziative a favore di temi, senza colore politico, come quella contro la povertà e i cambiamenti climatici o quella a favore dell’intitolazione di uno spazio pubblico a Giancarlo Siani, il giornalista trucidato dalla camorra.
Orlando è parte della società civile che, con coerenza, concretamente, è a favore della legalità, della giustizia sociale e della tutela ambientale? O, in quanto esponente di rilievo di un partito verticistico per antonomasia, è parte di quel sistema partitico che, di destra e di sinistra, per sopravvivere, alla ricerca di consensi e finanziamenti, dialoga con le grandi aziende (opere pubbliche, project financing e edilizia residenziale), di fatto, agevolando il braccio imprenditoriale della camorra, distruggendo la qualità ambientale del territorio e aumentando la disparità tra ricchi e poveri. Il vero Orlando è quello che dice o quello che fa?

Orlando, con la sua buona fede, rischia di consentire alla politica di mettere il cappello sulla società civile e di legittimare la classe politica nel suo agire sconsiderato. Le associazioni, con la loro metodologia e con le loro idee, hanno il compito di condizionare i politici più illuminati, come Orlando: se un esponente politico del XXI secolo crede nella portata innovativa dell’associazionismo, dovrebbe mettersi in ascolto delle associazioni già esistenti sul territorio e non farsene una, personalizzata e su misura, per non farsi contaminare, neanche, ora, dal mondo in cambiamento.

Il cambiamento dal basso non è una moda: è una risposta fisiologica del sistema all’incapacità della democrazia rappresentativa di tutelare il bene comune. Cambiamento dal basso non significa che le leggi siano decise dalla popolazione, senza il filtro dei suoi rappresentanti: più realisticamente, significa che, in un’economia sovranazionale e, quindi, anche sovraterritoriale, il solo legiferare non sia più sufficiente per affrontare le emergenze in corso. Cambiamento dal basso, quindi, significa sostituire l’approccio del delegare con l’approccio del risolvere in prima persona le problematiche comuni: mettere in discussione i propri stili di vita, lasciare che la filiera corta, la cittadinanza attiva e il consumo critico portino nel quotidiano, dei processi sociali ed economici, le istanze di solidarietà e di tutela ambientale che, nel XX secolo, erano considerati, dalla politica e dalla popolazione, argomenti da trattare a parte.

Solo una classe dirigente che utilizza una pratica quotidiana responsabile, approcciando esperienzialmente alla sostenibilità, potrà padroneggiare le istanze di quello sviluppo sostenibile che, necessario a una società in trasformazione, considera, in un approccio integrato, sviluppo economico, tutela ambientale, giustizia sociale.

Non deve essere più tollerato, nella nostra era, il paradosso che avvocati, giudici e notai, nelle ore di lavoro, uomini di legge, e, nel quotidiano, conducenti di SUV, condividano gli stessi gusti di criminali e truffatori. Non è più sostenibile che la classe dirigente e intellettuale, fuori dal lavoro, abbia gli stessi approcci dei qualunquisti che non fanno un uso consapevole del tempo libero, condividendo, con questi, gli stessi viaggi, gli stessi gusti nell’abbigliamento e nei consumi alimentari. Non è possibile che nei luoghi istituzionali, mentre si discute di legalità o di rifiuti, si utilizzino gli stessi bicchieri e bottiglie di plastica presenti nel corso di una riunione di criminali.

I buoni propositi, nelle parole di un ogni uomo politico, suonano vuoti come quelli di chi, su facebook, condivide, con un virtuale e gratuito clic, “sono contrario alla fame nel mondo”.
Dirsi contrari a una ingiustizia, a parole, è una cosa, esserlo, nella pratica esperienziale, è un’altra: gli uomini politici, interessati al cambiamento, aprendosi a un nuova forma mentis, frequentino le attività promosse, orizzontalmente, dalla società civile e dall’associazionismo ecosolidale.  Gli uomini politici, se vogliono dare risposte al XXI secolo, sappiano di essere, prima di ogni cosa, cittadini e consumatori che, con le loro scelte quotidiane e i loro stili di vita, sono già attori politici.

* cofondatore di:
Rete Arcobaleno – Associazioni per un’economia ecosolidale
Benevento EcoSolidale – Comunità ambientalista e solidale sannita
Tandem21/Quinua – Consumo Critico e Commercio Equo e Solidale
GAS Arcobaleno – Gruppo d’Acquisto Solidale
Art’Empori – La comunità dell’arte biodiversa, indipendente e orizzontale

Sannio in Movimento – Per l’identità e l’autonomia del territorio
Benevento Km Zero – EcoVicinanza a persone e a merci – Distretto di economia solidale
Semi EcoSolidali – Testimonial di gesti sostenibili

Manifesto BioDiverso degli stili di vita sostenibili
Gli AvamPost BioDiversi –
www.avampost.wordpress.com


Vittoria Principe: “Parliamone” è un’associazione senza colore politico

1 dicembre 2009 – di Vittoria Principe*

Scorrendo siti e giornali, mi sono imbattuta in numerose news riguardanti l’Associazione Parliamone. Per capirci quella ispirata da Nazzareno Orlando e presieduta da Tullia Bartolini.
Come dire Alfa e Omega per ideologie. Poi elementarmente ho ripercorso, aiutata da chi ne ha dato notizia, per l’appunto la stampa sannita, tutto l’iter svolto da Parliamone, di cui mi onoro di far parte, in circa 2 anni di attività. Ed ho verificato con piacere e soddisfazione personale ed intellettuale che davvero di cose ne sono state fatte.
Tra queste: Parliamone ha organizzato con Futuridea dell’ottimo Carmine Nardone, proprio qualche giorno fa, la presentazione del libro “I Peccatori” di Antonello Caporale. Chiedo: Nardone e Caporale sono uomini di destra?
Parliamone ha aderito alla iniziativa bipartzan e mondiale “Stand up! Take Action” contro le povertà ed i cambiamenti climatici. Chiedo: queste cose sono di destra o di sinistra? Parliamone ha aderito alla iniziativa di intitolare uno spazio pubblico della nostra città a Giancarlo Siani, noto giornalista trucidato dalla camorra a soli 24 anni. Chiedo: questa cosa che colore politico ha?
Parliamone ha aderito a Vivere con Lentezza, proprio per invitare tutti ad una maggiore consapevolezza, tramite la riflessione, magari leggendo qualche libro in più e dando vita a qualche bega in meno. Chiedo: queste cose che ideologia politica seguono? Parliamone ha organizzato un focus sulle nuove frontiere della comunicazione multimediale della nostra città. Chiedo: la comunicazione in senso lato di che colore è?
Parliamone ha organizzato un incontro sul giornalismo al femminile nel Sannio. Chiedo: le donne giornaliste sono più di destra o di sinistra? Parliamone ha organizzato con la Rete Adelperga, creata dall’Associazione Isidea di Annamaria Mollica (centro destra?) un incontro su: “C’era una volta lo Statuto. Donne e partecipazione politica”. Chiedo: ma la partecipazione femminile non è legittima tanto per le donne di sinistra quanto per quelle di centro destra? Parliamone ha levato la propria voce, sfilando con il Sindaco di Benevento (centro destra?) con la Rete Sociale per tutelare la nostra sanità contro lo scippo del Servizio di Psichiatria a favore di Sant’Agata dei Goti. Chiedo: Qual’è il colore della sanità, quella della gente? Parliamone ha organizzato con coraggio ed in piena campagna elettorale un dibattito in perfetta par condicio su “La cultura dello sviluppo, lo sviluppo della cultura” Moderatore super partes Franco Di Mare giornalista Rai. Interventi di Pasquale Viespoli e Costantino Boffa.
Questa è Parliamone. Uno spartito di sogni e progetti in cui crede il suo ispiratore Orlando e tutti gli altri membri. Una associazione senza tessere, vertici ed elezioni. Una Associazione in cui la fa da padrone la voglia di fare, di ascoltare di partecipare. A volte anche di sognare.
E tutte queste cose non hanno colore. Lo sviluppo di una città, ricordiamo ai novelli, improvvisati difensori della res pubblica, non ha appartenenze, ma voglia di concretezze.
In questa ottica opera chi scende tra la gente per ascoltare ed essere usato, e nel ruolo di governo, con atti pratici e in quello di oppositore, tramite interrogazioni.
Così ognuno dà il proprio contributo e viene usato per il bene della città.

* direttore di Elle Tv e del sito Elletti.it

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