Il giardino della Grande Madre

aiab-piante-bellezza[di Franca Molinaro da Comunità Provvisoria] Ho iniziato a concretizzare su carta i miei studi di botanica quando ho capito che la ricerca antropologica incentrata sullo studio dell’uomo non mi soddisfaceva, inoltre, mi trovavo spesso a fare i conti con piante di cui necessitava la conoscenza specifica per comprenderne le proprietà eduli, officinali e apotropaiche. Volgere l’interesse verso la natura non ha significato dare un taglio con l’umanità, piuttosto dare un taglio alle apparenze, alle futilità che la quotidianità comporta. In questo modo non ho inteso rinnegare la ricerca antropologica ma approfondirla indagando su quell’intima spiritualità che lega il genere umano all’universo, quell’idea archetipa non sottoposta ad evoluzione culturale, o meme assoluto che sopravvive al susseguirsi delle ere e delle civiltà al pari di un gene nella catena di un DNA. Tale ricerca coincide col bisogno di Verità e può passare attraverso lo studio delle cose concrete, naturali, visibili. Se il cosmo è la manifestazione delle energie divine creatrici, ogni albero, ogni pianta, ogni fiore è informato da un’energia divina ovvero da un dio, è una teofania (A. Cattabiani).

La verità si rivela quotidianamente attraverso la rigenerazione continua, la si può osservare fisicamente senza far ricorso a difficili dogmi e teologie di ogni credo. Il miracolo della creazione si reitera ogni secondo in miriadi di forme con impollinazioni e fecondazioni, in esso è il senso assoluto del tutto, il processo chimico che l’evoluzionismo vuole verificatosi per caso è il principio delle cose: la vita. Avvicinarsi alla comprensione di tale mistero significa provare ad esser parte del tutto. Entrare in un bosco ed ascoltarne il silenzio è il primo esercizio da compiere per chi vuol tentare questa esperienza, proverà un senso di sgomento, una sorta di ansia inspiegabile, questo stato gli è causato dall’incontro tra cosmo e microcosmo interiore. Lo sgomento può essere superato con la conoscenza acquisita attraverso il rapporto continuo con la vita che il bosco ospita, con appuntamenti periodici per capire lo sviluppo delle piante, la fioritura o la fruttificazione. Un medico di Bismarck raccontava che al suo paziente, esaurito dall’eccessiva tensione nervosa dovuta agli impegni di governo, consigliò come terapia di sdraiarsi mezz’ora sotto una quercia. L’esercizio diventa, dunque, una terapia per curare le nevrosi e ristabilire l’equilibrio interiore nelle persone dalla personalità labile ma anche un’occasione per tentare il contatto col creato. I boschi, la montagna con i suoi orizzonti possiedono quella capacità energetica che permette la rigenerazione dello spirito attraverso la meditazione e l’incontro con l’infinito. Gli Appenninici sacralizzano la montagna, i fiumi, i boschi ed in questi elementi si rispecchiano, un po’ lupi, un po’ falchi, sicuramente un po’ conservatori, legati, non senza ragione, alle proprie tradizioni. Come la vegetazione, così le etnie dell’entroterra, si somigliano tra loro anche se ciascuna conserva le proprie peculiarità. Tutte, però, sono accomunate dal legame profondo, sacro, con la terra, la natura, le colture, il mondo “anima”; in tutte è presente una religiosità in cui il Cristianesimo si integra con reminiscenze paganeggianti in una sorta di spiritualità immanente colta attraverso la contemplazione della natura. A chi è meno incline alla ricerca interiore ed ha più spiccato desiderio di bellezza ed armonia estetica, è consigliata l’avventura tra boschi, monti e fiumi, per scoprire ed ammirare la magnificenza di sora nostra Madre Terra, quella bellezza che comunemente sfugge agli occhi frettolosi, un’armonia disegnata dagli stami corallini del fiore della cicoria o dalla geometria perfetta del fiore stellato dell’Echinopo. Secondo l’Antico Testamento, l’uomo ebbe in affidamento la terra per “soggiogarla”, ma forse prese troppo alla lettera le parole dell’Onnipotente e, con lo scorrere del tempo, ha perduto il rispetto per la Grande Madre assoggettandola ai suoi smisurati bisogni. Recuperare il rapporto con la terra è il primo tentativo per ristabilire gli equilibri naturali. Se la strada non dovesse essere quella dell’Amore, e con esso tutti i sentimenti buoni che lo caratterizzano, allora si lasci almeno spazio al naturale egoismo genetico e si pensi che, senza la natura in buone condizioni è impossibile assicurare la sopravvivenza dei propri geni.

Altra ragione per imparare a conoscere direttamente la natura ci è suggerita dalla legge emanata il 31 marzo 2004 dalla European Directive on Traditional Herbal Medicinal Products (THMPD) che rende operative le norme per l’utilizzo di prodotti erboristici. Il 1° di aprile 2011 tutte le erbe medicinali diventeranno illegali nell’Unione Europea. Questa direttiva richiede che tutte le preparazioni di erbe debbano superare lo stesso tipo di procedure dei farmaci. Non fa differenza se un’erba sia stata liberamente utilizzata per millenni. I costi di queste – nuove – procedure sono ampiamente superiori a quelli affrontabili dalla maggior parte dei produttori – escluse le grandi industrie farmaceutica ed agroalimentari. Si parla di costi oscillanti fra i 100.000 ed i 150.000 € per erba; se poi si tratta di un composto, ogni erba deve essere trattata separatamente. Non conta se un’erba sia stata usata con sicurezza ed efficacia per migliaia di anni, dovrà essere trattata come fosse nuovo farmaco di laboratorio (Gaia Healt).

Naturalmente, le piante non sono farmaci di laboratorio, sono invece preparati ottenuti da fonti biologiche non necessariamente purificati – perchè la cosa potrebbe modificarne natura ed efficacia – così come avviene per gli alimenti. Trattarle come prodotti di sintesi significa distorcere la loro natura e la natura delle piante medicinali. La cosa ovviamente non fa la minima differenza dentro le mura dell’Unione Europea controllata da BigPharma (la grande industria farmaceutica) un’Unione che ha inglobato il corporativismo nella sua costituzione.

L’industria farmaceutica e quella agroalimentare hanno, così, quasi completato il loro assalto a tutti gli aspetti della salute, dai cibi che mangiamo al modo col quale ci prendiamo cura della nostra salute. La natura rappresenta un’immensa dispensa, comprende una quantità di erbe non solo officinali ma anche eduli, ottime da portare in tavola. Naturalmente occorre competenza nel riconoscerle e nel prepararle, occorre ripulirle accuratamente perché le piante raccolte in natura non sono pulite come la lattuga da serra raccolta sul telo nero della pacciamatura. Hanno sapori differenti da quelli degli ortaggi da coltura forzata. Sapori antichi che il nostro entroterra conserva gelosamente nella sua tradizione. Nella valle del Calore abbiamo un sapore del tutto particolare, quello del puliejo (Menta pulegium) abbinato ai cecatielli, mentre nella valle dell’Ofanto si usa ancora il rafano (Armoracia rusticana) nelle Tomacelle. Questi e tanti altri vogliamo proporre in questo percorso che mi accingo a intraprendere attraverso le terre d’Irpinia e dell’entroterra appenninico.

Franca Molinaro

articolo pubblicato su ‘ottopagine’ 5.12.2010.

Una risposta a Il giardino della Grande Madre

  1. robert fogelberg 12 gennaio 2014 a 21:48

    un articolo molto bello sopratutto per come è scritto

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