Passeggiando tra le erbe del Lungarno. Finisterre-Viaggioracconti responsabili

lungarno di giampaolo del guasta[di Franca Molinaro] Mi alzo all’alba, insofferente di sprecare a letto minuti preziosi. Sono a Firenze per una mostra di pittura, potrei andare per musei e piazze ma il mio spirito un po’ selvatico mi spinge oltre le mura della città. Una telefonata e il mio collega Emilio, mattiniero anche lui, mi raggiunge dall’albergo di fronte. Prendiamo il caffè in fretta, con gli amici fiorentini che si apprestano alle loro mansioni, poi via, ci dirigiamo verso il Lungarno del Tempio, in periferia.

Per strada poca gente, quest’angolo di Firenze è tranquillo. In mezz’ora siamo alla meta, l’Arno è di fronte a noi e scorre piatto e silenzioso. Il tratto di fiume è affiancato da diversi servizi, parchi per cani, piste ciclabili, chioschetti. Siepi di gelsomino (Trachelospermun jasminoides) e ligustro (Ligustrum vulgare) profumano l’aria inebriando i sensi. Gli alberi di tiglio, anch’essi in fiore, confondono gli aromi che si moltiplicano e s’intensificano col levarsi del sole.

Il professore, convinto di essere uscito per una semplice passeggiata, cammina con andamento lineare e composto sciorinando gradevolmente la sua preparazione in storia dell’arte ma, ritrovandosi, più volte, a parlare da solo. Io rallento continuamente per avvicinarmi al fiume allontanandomi dalla pista, così lui, rassegnato, prosegue in solitudine, assorto in pensieri indecifrabili nascosti oltre la fronte spaziosa. Presa dal desiderio di esplorare le sponde, non curo la sua aria un po’ triste, e mi inoltro tra l’erba ancora bagnata di rugiada. Gli argini del fiume accusano il passaggio di una discreta piena, le erbe sono piegate e sporche di sabbia. L’acqua, mista a melma, è ocra liquida, nel letto non v’è vegetazione, emergono solo le foglie di stiancia (Typha angustifolia).

In alcune pozzanghere, presso un sottopassaggio, è fiorito il crescione (Nasturtium officinale), una eccellente pianta rimineralizzante, ottima da consumare cruda ma, in quest’ambiente, non è proprio consigliabile. La vegetazione delle sponde è molto simile alle nostre valli, abbondano le Graminacee che, in questo momento, sono in fiore, vi scorgo avena selvatica (Avena fatua), logliarella ( Lolium perenne), gramigna (Agropyrum repens), forasacco (Bromus ramosus), mazzolina (Dactylis glomerata), orzo selvatico (Ordeum murrinum).

Gli alberi sugli argini si limitano a pochi esemplari di salici, olmi, Robinia pseudoacacia, sambuco (Sambucus niger). Sui loro tronchi si arrampicano l’edera (Hedera Helix) e la vitalba lianosa (Clematis vitalba). Le ortiche (Urtica dioica e pilulifera) sono in agguato con i loro peli urticanti, pronte a irritare le gambe dei numerosi ciclisti o semplici pedoni. Numerose colonie di geranio (Geranium lucido), toccamano (Galium aparine), fumaria (Fumaria capreolata), Parietaria officinalis, Artemisia vulgaris, ricoprono i bordi del vialetto.

Gli spazi interni ospitano una gran quantità di vegetazione spontanea tanto da farli apparire poco curati ma l’occhio esperto sa cogliere la bellezza anche in queste coraggiose colonizzatrici della periferia. C’è il cardo (Carduus pycnocephalus) con i suoi piccoli capolini spinosi, i crespigni (Sonchus oleraceus e tenerrimum), la lattugaccia (Lactuga integrifolia), l’aspraggine (Picris echioides), il farinello (Chenopodium album), tutte buone per le minestre, il romice (Rumex) in diverse specie, la Malva negletta con piccoli fiori rosa, il Trifolium dubium dai fiori globosi, la Campanula arvensis dalle campanelle profumate, la Ballotta nigra dall’odore nauseabondo.

Una modesta colonia di fitolacca (Phytolacca decandra) invade un’aiuola costellata di margherite (Bellis perennis) dai petali ancora serrati, mista a euforbia (Euphorbia dulcis), e acetosella (Oxalis articulata). È reperibile qualche esemplare di piantaggine (Plantago major), di saeppola (Erigeron bonariensis), di pimpinella (Potherium sanguisorba). La vegetazione spontanea, nata dalle mani del creatore fa invidia al più bravo pittore fiorentino, ovunque l’occhio si posa  scorge un fiore e il naso avverte un profumo. Maggio esplode in tutto il suo splendore in ogni provincia temperata dell’emisfero boreale ed ogni erba, ogni creatura loda la magnificenza della creazione.

Assorta nelle considerazioni continuo a trascurare il mio compagno di passeggiata, pazientemente contrariato dalla mia perseveranza nel voler trasformare il soggiorno fiorentino in una ricerca botanica. Avverto i suoi impenetrabili pensieri oltre la fronte accigliata, ornata dalla capigliatura canuta, avrei dovuto ascoltare come una persona educata approfittando per migliorare le mie conoscenze ma lui, ormai, ha rinunciato alla lezione. Guardo l’ora, è il caso di rientrare, gli amici ci aspettano. Ci incamminiamo in silenzio, io con l’amarezza di non aver incontrato piante nuove, nessuna pianta sconosciuta, tutto incredibilmente familiare. –Mi sento proprio a casa- dico a Emilio mentre ripercorriamo via Orcagna… quant’è piccolo il mondo.

Franca Molinaro è autrice, fra l’altro, di ”Menesta asciatizza. A tavola con le piante spontanee dell’appennino meridionale” e “Almanacco della Grande Madre”.

Contadina e studiosa della cultura rurale, cura il blog “La grande madre – Centro ricerca tradizioni popolari” e cura una rubrica settimanale dedicata alla Grande Madre, sul quotidiano “Ottopagine.

La foto del lungarno è di Giampaolo Del Guasta (presa in prestito dal web).

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