Conoscere di persona i personaggi dei romanzi

madame-bovary[di Isabella Pedicini dal blog “Isabella S.P.A. Società per azioni”] Ultimamente tutti gridano alla morte del libro cartaceo davanti al neonato e-book (ma non era più carino presentarsi in ospedale con un mazzo di fiori?)
Tutti strillano: è morto! è morto!
Ma tutti si disperano su un feretro vuoto perché so che un e-book ancora in fasce non farà mai e poi mai rompere il cordone ombelicale che io e tanti altri abbiamo con l’oggetto libro.
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Già, perché il libro è un oggetto e in senso buono: non come la donna oggetto o l’uomo oggetto (esiste…esiste…)
Da feticista, ho il bisogno fisiologico di toccare la copertina, annusare l’interno del libro, fare le orecchiette alle pagine, sgualcire, sottolineare e controllare quanto manchi alla fine.
Devo poter dormire con una guancia poggiata sul libro o farmelo cadere in faccia quando mi addormento di colpo, devo portarlo come me in borsa e inserirlo sotto la gamba del tavolino che traballa.
Posso mai mettere uno i-Pad sotto il tavolo che zoppica? Come faccio a leggere la posta?
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Tutti quelli di cui sopra, i catastrofisti, piangono in processione dietro una bara che non c’è, ma non sanno che il compianto libro per anni ha invece lottato con chi realmente ha cercato, nottetempo, di pugnalarlo nel sonno: l’adattamento cinematografico. Che paura!
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Con molta difficoltà mi adatto ai film tratti dai romanzi per un’unica egoistica ragione: sono io il regista della mia lettura.
Capitolo per capitolo, ho dato i volti ai personaggi, scelto le voci, deciso i costumi, individuato le location, gli interni, gli esterni, gli arredi, le luci e il make-up.
Come ti permetti tu, regista maledetto, di venire con la tua pellicola a distruggere tutto il mio lungo lavoro di fantasia?
Che invadenza! E perché hai scelto quell’attore, perché? Rare le eccezioni: visto Shining non vedo perché dovrei leggere l’omonimo libro di Steven King. Scusate.
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Tuttavia, caro regista maledetto, uscirò dal cinema serbando in cuor mio un silenzioso rancore nei tuoi confronti, ma camminando verso casa rifletterò su un dato di fatto: il mio casting immaginario era nettamente superiore al tuo gruppetto di sputtanate star hollywoodiane. Tié.
Caro regista maledetto che hai tentato invano di distruggere un romanzo che ho amato, sappi che c’è una cosa che il tuo film altrettanto maledetto e, diciamocelo, caro (se non lo vedo di mercoledì) non avrà mai in comune con il libro: l’illimitata fruibilità del carattere dei personaggi.
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Mi spiego. Tu, regista, hai inchiodato Emma Bovary a un volto e un certo carattere della durata di due ore, ma capisco che non è una tua colpa, non avresti potuto fare altrimenti. Tuttavia io, lettore, conosco benissimo Emma Bovary e posso fare una cosa bellissima che scavalca quel tuo casting che proprio non mi va giù: cercare Emma Bovary nella realtà, vederla nel mondo, incontrare il suo modo di fare e i suoi turbamenti in una o più persone. Non ci credi, maledetto?
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E a chi assomiglia quel signore che ho appena incontrato sotto il portone se non a Smerdyakov?
Eh, chi era se no lui? Maledetto!
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di Isabella Pedicini - dal blog “Isabella S.P.A. – Società per azioni”
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Dal libro alla versione filmica, dall’uomo alla tecnologia, dal bio alla crisi economica
[di Alessio Masone] Sul sito Art’Empori ho inserito questo post preso dal blog “Isabella S.P.A. – Società per azioni” che Isabella Pedicini compila con un linguaggio spaesante che, per alcune caratteristiche, ricorda i racconti di Woody Allen (Effetti collaterali…), le riflessioni di Michele Serra, le Bustine di minerva di Umberto Eco. In questo suo blog si presenta affermando “Amo la parola, ma confido nell’agire… Ognuno di noi è azione”.
Per questa linea (d’azione), che similmente portiamo avanti con Art’Empori, ho ritenuto utile inserire sul nostro sito il suo link.
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In particolare, questo post di Isabella Pedicini, realizzando un parallelo tra romanzo e sua trasposizione cinematografica, apre al dibattito sull’approccio esperienziale all’opera: quanto più l’opera (come il romanzo) lascia spazio di azione al fruitore, tanto più l’opera non è delegata a sostituirsi alla creatività del fruitore (come nel cinema). Il disagio creativo che avviene nello spettatore del film: quando leggiamo un romanzo, noi mettiamo in azione la nostra creatività per definire i dettagli taciuti. Quegli stessi dettagli, nel caso di un film, sono delegati al regista, tramite la tecnologia del sonoro e dell’immagine. 
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Ma la Pedicini, mettendo anche a confronto il libro cartaceo con quello digitale, ci sta forse suggerendo che la soglia di emozione delegata, quindi di azione inibita, a quanto pare, aumenterebbe in proporzione alla diffusione delle nuove tecnologie. E il film, più del libro, anche nella fruizione, necessita di mediazione tecnologica.
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Da qui, il passo potrebbe essere breve per asserire che, in tutto il nostro fruire quotidiano, ogni comoda tecnologia, alla quale deleghiamo la nostra esperienzialità, ci allontana da quel relazionarci in prima persona con la vita che può renderci coautori del mondo. 
Questa tesi porterebbe giustizia alle generazioni che, precedendoci, hanno “goduto” di minori strumenti tecnologici di noi. Ma porterebbe giustizia a noi stessi nei confronti delle generazioni future che, sempre più omologate, necessiteranno di delegare altre parti di sé alle sempre più invadenti tecnologie.
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Queste tecnologie, tanto per contestualizzare, sono quelle promosse da un’economia sovraterritoriale che sottrae identità ed economia ai territori.
Sono quelle che stanno portando alla disperazione le persone comuni. 
Si può reagire come nel mangiare bio e locale: riducendo la componente tecnologica e la delega, si tutela il benessere della persona, dell’economia territoriale e del pianeta.
 

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