Il grano: mito e simbologia. Dalla Grande Madre a oggi.

campo di grano[di Franca Molinaro] La Mezzaluna Fertile mesopotamica in cui ebbe origine la nostra civiltà, caratterizzò fortemente la spiritualità dei popoli che ruotarono intorno a questa area. Il clima e il tipo di terreno permisero il passaggio da una civiltà originaria di raccoglitori al primo, rudimentale tentativo di agricoltura.

Sembra sia stata la donna ad intuire il ciclo delle graminacee e a tentare la prima semina. Forse nacque proprio allora quel sillogismo secondo cui la terra è madre e la donna è terreno fecondo in cui seminare: la donna partoriva, si riproduceva, dal seno della terra nascevano altre creature utili, la terra allora doveva essere femmina [1].

Il concetto della divinità si lega alla terra, madre feconda, e la religione primitiva è quella della Grande Madre, fecondata dal Sole. Sul modello della coppia divina, la società primitiva si resse sul matriarcato, in cui le donne avevano il primato e solo successivamente il potere, nella società, passò nelle mani degli uomini.

Probabilmente all’uomo preistorico la donna apparve come qualcosa di magico, qualcosa che la sua intuizione non afferrava, qualcosa da temere e in qualche circostanza divinizzare. Solo la riverenza poteva esorcizzare il timore di questa entità apparentemente superiore.

Il ritrovamento di statuette votive, in Moravia,[2] in Austria[3], in Italia[4], in Francia[5], ed in altre aree più distanti,[6] conferma il culto della divinità al femminile. Si tratta di una prima Venere steatopigica in cui l’esaltazione delle zone erotiche testimonia la centralità della fertilità. L’uomo del Paleolitico Superiore credeva che si sarebbe avverato ciò che egli avrebbe rappresentato graficamente, realizzava quindi sculture di donne floride come potenziali femmine fertili.[7] Nel binomio terra-donna, le due entità si validavano a vicenda, l’elemento in comune era la fertilità che, sacralizzata valorizzava la figura femminile e la terra che come femmina feconda, era rappresentata in forma antropomorfa.

Gea, la prima divinità che, secondo Esiodo, si differenziò dal Chaos originario, spinta dal desiderio d’amore concepì da sola il figlio Urano, ed alla sua unica fertilità furono attribuite tutte le forme vitali della terra[8].  Cibele, di origine frigia fu un’altra divinità femminile che rappresentava la terra feconda, fu adottata dai Greci e dai Romani conservando il nome originario. Rea era adorata a Creta per le stesse caratteristiche ma presto il suo culto si confuse con quello di Cerere; sua figlia Demetra fu il simbolo delle messi, particolarmente del frumento, anche il suo culto confluì in quello di Cerere.

Probabilmente, nell’area mediterranea, fu il culto di Iside con i suoi tratti negativi a sconvolgere l’ordine naturale primitivo e stravolgere il concetto di donna-madre. La donna, sul palcoscenico della storia, perdette la sua sacra fecondità e cominciò ad essere associata al negativo.

Così, nel tardo medioevo, vennero rispolverate Lilith, streghe e janare fino a renderle figure reali grazie al prezioso aiuto della chiesa cattolica e protestante, di sovrani superstiziosi e di un popolo ignorante[9].

Tornando all’uomo preistorico vediamo che scoprì l’importanza del grano, prese coscienza del fatto che dal cereale dipendeva la qualità della sua vita e lo eresse a divinità per propiziare il raccolto ed esorcizzare la paura di una possibile scomparsa. Tutte le cure stagionali, però, non perdonavano il gesto finale  della mietitura, e la desolazione dei campi vuoti diventò motivo di ansia [10]. La precarietà della vita alimentare nelle civiltà cerealicole del mondo antico è indirettamente documentata dalle catastrofiche descrizioni del vuoto vegetale che accompagna la scomparsa del nume della vegetazione.[11]   I lamenti funebri alle varie divinità, fino all’Antico Testamento con i lamenti di Geremia[12] e Gioele[13], offrono scenari terrificanti della sospensione della vita del mondo vegetale .

L’uomo, secondo la lezione di De Martino, si scoprì procuratore di morte e come tale tentò di riscattare il suo peccato per riabilitarsi al giudizio divino[14].

Nelle messi mature, lo spirito del grano si muoveva in modo ondoso  seguendo lo spirare del vento e sfuggiva alla falce dei mietitori, finché anche l’ultimo covone era mietuto. Sembra che i mietitori delle origini, dall’Egitto all’Asia Minore, per placare l’ira dello spirito del grano gli offrissero il sacrificio di un uomo legato in un covone. [15]

Il grano che muore per produrre fu il primo simbolo di passione causata dall’uomo e tutto il mondo antico accompagnava la mietitura con pianti cerimoniali in cui il lamento vocale era reso scenografico dalla specifica gestualità del cordoglio[16].

Con il ciclo del grano e più propriamente della natura nell’area mediterranea, s’identifica tutto il sistema religioso e culturale del mondo agrario, sistema che  la civiltà contadina ha mantenuto gelosamente fino al secolo scorso quando la sfrenata ricerca della modernità ha tentato la ricollocazione di tutto quanto appariva vergognoso alla società post-moderna determinando, in tal modo,  il ripudio del sé identitario.

Pur essendo in una fascia temperata dove le stagioni si susseguono naturalmente, nel numero di quattro, il ciclo stagionale popolare si riassumeva nella dicotomia caldo-freddo: Il caldo e il freddo rimangono elementi essenziali dei calendari popolari, evidenziando il contrasto tra una stagione di pienezza come l’estate, ed una di attesa e di ritiro come l’inverno. Tale contrasto corrisponde alla dicotomia che oppone da un lato abbondanza e forza vitale e dall’altro malessere e crisi esistenziale.[17]

Il viaggio segue un andamento circolare, dalla nascita, al cammino terreno, fino alla morte  configurata nel ritorno alla terra, contemplando la passione necessaria per effettuare il passaggio a vita nuova nella rinascita o resurrezione.

Il chicco che dorme nel buio della terra, durante la stagione fredda, dà origine ad una piantina nuova, occorrono, non a caso, nove mesi perché il frutto maturi e possa esser immagazzinato nella stagione calda.

I primi riti che celebravano la passione, la morte e la resurrezione erano legati alle divinità Tammuz della Siria, Attis della Frigia, Osiride dell’Egitto e Adone della Grecia. Tammuz moriva ogni anno per discendere sotto terra ma, a primavera, Istar, sua sposa o sorella, lo resuscitava risvegliando le forze rigenerative della natura, per questo fu eletto a dio dell’agricoltura.[18] La versione frigia del mito di Attis riportata da Arnobio[19], racconta che questi nacque da Nana, dea della generazione, e morì per autoevirazione il giorno delle nozze, ma resuscitò a vita nuova il 25 marzo, inizio della letizia. In tale occasione i fedeli e i sacerdoti si flagellavano spargendo il loro sangue. La Catabasis celebrava la discesa del dio nel regno dei defunti ed era seguita da una veglia e da un digiuno che preparava gli adepti alla resurrezione.[20] Macrobio[21] descrive il ciclo stagionale regolato dai movimenti apparenti del sole e interpreta il mito di Attis, paragonandolo a quello greco di Adone. Secondo Ovidio, Adone era figlio incestuoso di re Ciniro e sua figlia Mirra, divenuto adulto s’innamorò di Afrodite ma Ares, trasformatosi in cinghiale, lo uccise. Sceso nell’Ade, fece innamorare Persefone, per intercessione della musa Calliope, gli fu concesso di trascorrere metà dell’anno nel regno dei morti e metà sulla terra con Afrodite.[22]Anche Osiride, dio della vegetazione, subì una sua passione essendo stato ucciso e fatto a pezzi dal fratello Set, ma sua moglie, Iside, ricompose i pezzi e, con un grande atto d’amore, lo fece risorgere per avere da lui un erede[23].

Nell’Antico Testamento l’offerta del sangue era abbinata a quella del pane con il dono al tempio del primo covone mietuto.[24]

Questo passaggio è significativo, non si trattava più dell’ultimo covone in cui si nascondeva lo spirito del grano ma è il primo covone come primizia offerta alla divinità in segno di ringraziamento. Nel Nuovo Testamento si ebbe un altro passaggio, il simbolismo si perfezionò ed il grano comparve come Corpo di Cristo  e sua conseguente, quotidiana presenza sulla mensa attraverso il simbolo del pane.

Il nume che periva e poi riappariva, come sistema mitico-rituale, permetteva la destorificazione del vuoto vegetale riabilitando l’uomo al cospetto della divinità.

L’uomo, dunque, dopo aver tranquillizzato il suo animo nella fede, sviluppò il rito come momento destoricizzato attraverso il quale poteva instaurare un rapporto diretto con la divinità. Il rito diventò un momento carico di magia e simbolismo, un tempo fuori dal tempo in cui si rendeva possibile l’incontro umano-divino.

L’antica rete simbolica presto si offrì come base alla ritualità cristiana, la simbologia arcaica fu investita di nuovi valori, Cristo diventò il nuovo Orfeo. Maria assunta a madre della comunità cristiana sostituì la Grande Madre. La differenza fondamentale non era nella simbologia ma nella struttura della religione stessa, da circolare, cioè ciclica, diventa rettilinea, verso un compimento, escatologica. La prima è religione del mondo inferiore, la successiva è celeste, del mondo superiore.[25]

Ma il meccanismo resta sempre lo stesso: l’uomo cerca conforto e sostegno, anela certezze da contrapporre alla sua precarietà. Tali certezze non può trovarle in nessun contesto storico, solo una metastoria immobile ed inattaccabile può profilare un orizzonte mitico verso cui orientarsi, il luogo della sua tranquillità psicologica dove  trova spazi a sua dimensione. La fede in quel qualcosa che è oltre la sua precarietà valorizza la sua esistenza, lo supporta nelle difficoltà e ne permette la reintegrazione dopo qualsiasi episodio di assenza.

L’innalzarsi di un orizzonte mitico previene dal disfacimento individuale e sociale e  assicura alla comunità il rinnovo dei valori che costituiscono la struttura morale della classe subalterna.[26]

Il grano, primo stereotipo di dio soggetto a passione, trovò la sua perfetta collocazione nell’ambito della nuova fede cristiana. Cristo stesso nelle sue parabole vi faceva spesso riferimento.[27]

Il grano dunque entra a pieno titolo nella vita comunitaria della chiesa e si offre in tutti i suoi stadi. Lo troviamo a Pasqua ad addobbare il sepolcro di Cristo morto. Qui la metafora è eclatante, le piantine cresciute al buio per mancanza di clorofilla appaiono gialle come bianco appare il corpo di Gesù nel sepolcro. E ancora a Pasqua lo troviamo battuto e spogliato per preparare i dolci, Cristo spogliato e battuto alla colonna prepara la salvezza dell’umanità. Lo ritroviamo mietuto ed offerto a spighe nei vari momenti folklorici che caratterizzano vari paesi dell’entroterra irpino.

Ad Andretta, l’ultimo sabato di maggio, la Madonna della Stella Mattutina è portata in processione su di un carro trainato da buoi, l’accompagnano verginelle vestite di bianco recanti in mano ceri, mazzetti di fiori e tenere spighe di grano.

Troviamo il grano in chicchi nei mezzetti[28], sulle teste di donne in processione. E’ trasformato in dolci per varie ricorrenze sacre, ancora sotto forma di pane è presente in vari riti cristiani, ed infine trionfa quotidianamente col pane sulla tavola  come sull’altare il corpo di Cristo.

A Greci , durante i funerali, sulla bara che esce dalla casa, ma anche sul cadavere, si usa buttare manciate di grano come augurio di rinascita spirituale, in sintonia col processo germinativo dei chicchi. Sempre a Greci, per il 2 novembre si prepara il “Cickuett” con grano e granone a chicchi interi, raccolti presso varie famiglie e messi a cuocere in una grande caldaia all’ingresso del cimitero. Questo cibo, misto a sale o zucchero o miele, è offerto ai visitatori e simbolicamente anche ai defunti.[29]

Sull’isola greca di Kalymnos ritroviamo lo stesso rituale. Il grano preparato per i funerali o per il giorno dei morti è detto Kollivo. Tale preparazione rientra nei costumi di tutta la Grecia ed è considerata uno dei momenti di maggiore comunione di tutta la famiglia.[30] Il Cickuett di Greci divenuto cicci cuotti[31] per gli Irpini, è un costume che i primi coloni importarono in Italia e seppero tramandare ai posteri.

Il grano, come elemento magico, rientra nei riti popolari di guarigione. Ad esempio, a Villanova per eliminare i puorri[32] bisogna raccogliere un numero di steli di grano pari alle verruche, tagliarli in modo da avere dei segmenti con un solo nodo centrale. Poi cercare un luogo fangoso dove piantarli singolarmente. Le verruche scompariranno quando gli steli saranno marciti, se però si ripassa da quel luogo si corre il rischio di riprendere la malattia[33].

I racconti popolari trattano spesso del grano.

Si racconta di Gesù che per mietere il grano prendeva delle spighe dai quattro lati del campo, ne realizzava delle croci, le depositava intorno alle messi, poi dava fuoco e per miracolo, dopo le fiamme c’erano i chicchi già spulati. Evidente il richiamo al fuoco purificatore.

San Pietro bonariamente cercava sempre di imitare Gesù, così fece le stesse operazioni ma dopo il fuoco trovò solo la cenere. I padroni adirati li fecero arrestare. Gesù e i discepoli furono legati ad una mangiatoia; dei fanciulli portavano loro qualche pezzo di pane, poi si liberarono e partirono, “Maestro” dissero gli apostoli “non fai niente per questo posto?” e Gesù a loro “voltatevi indietro”. Quando i discepoli si voltarono non v’era più niente, solo dei piccoli coni vulcanici che esalavano vapori di metano. Rattristati per quei fanciulli innocenti proseguirono senza dir niente a Gesù temendo d’esser ripresi.

Più avanti trovarono un favo di api e Gesù comandò a san Pietro di raccoglierlo e metterlo nella tunica, il discepolo ubbidì ma le api pungevano. Grattando grattando, San Pietro ammazzò tutte le api. Allora Gesù volle vedere il favo e chiese a Pietro perché le avesse ammazzate tutte e Pietro: “Gesù ma quere mozzecaveno” e Gesù “mozzecaveno le grosse ma no le piccole”, “Maestro ma come le capava?” “Accussì le creature Pietro, come le capava?” e restò il detto “Santo Pietro pe n’apa accidivo tutto lo cupo”[34].

Ancora si racconta di un avaro massaro[35] che assoldò un perdigiorno per seminare il suo campo. Gli diede un sacco di grano, la zappa, una panella[36] di pane e un cane per fargli compagnia, poi disse: va, semmena, mangia tu, coverna lo cane e la panella otammilla sana[37].

Chiunque si sarebbe disperato ma non il furbastro che subito pensò il da farsi. Scavò una buca e vi svuotò il sacco di grano, poi si mise all’ombra di una quercia, prese la panella di pane, ne estrasse la mollica e mangiò insieme al cane. Verso sera tornò a casa per riconsegnare il sacco vuoto, il cane sazio e la panella intera ma svuotata.[38]

Per una versione di questo articolo, vedi “Rivista storica del Sannio n. 2/2012, pagg. 71-148, Napoli

 


[1] AA.VV. ENC. GEA, Il Neolitico e l’alba della civiltà Arti Grafiche, La Moderna,  vol. V p. 13. Roma 1968

[2] Venere di Dolnì Vèstonige tra i 25.000 e i 29.000 a. C., alta 111 millimetri e larga 43. Cultura Gravettiano.  E’ il più antico manufatto in ceramica, si tratta di argilla cotta a temperatura relativamente bassa. Si trova presso il Museo di Moravia. http://it.wikipedia.org/wiki/Veneri_paleolitiche 8 febbraio 09 ore 17.

[3] Venere di Willendorf tra il 24.000 /22.000 a. C., alta 11 centimetri, in olite di pietra calcarea e dipinta in ocra rossa, prende il nome dalla stazione preistorica ma non è originaria del luogo. Attualmente si trova a Vienna, Naturhistorisches Museum, Sezione Preistorica. http://it.wikipedia.org/wiki/Veneri_paleolitiche 8 febbraio 09 ore 17

[4] Venere di Savignano proveniente dalla località omonima in provincia di Modena in roccia serpentina, risalente a circa 20.000 anni a. C.. E’ alta 22 centimetri e si trova al Museo Pigorini. http://it.wikipedia.org/wiki/Veneri_paleolitiche 8 febbraio 09 ore 17.

[5] La Venere  Lespugue in Alta Garonne, risale circa al 23.000 a. C. Alta 14,7 centimetri in avorio di mammut. Si trova presso il Musèe de l’Homme di Parigi. http://it.wikipedia.org/wiki/Veneri_paleolitiche 8 febbraio 09 ore 17

La Venere di Laussel circa 20.000 a. C., si tratta di un bassorilievo dipinto di ocra rossa, alto 46 centimetri. Museo di Acquitania,  Bordeaux. http://it.wikipedia.org/wiki/Veneri_paleolitiche 8 febbraio 09 ore 17.

[6] Venere di Malta, circa 23.000 a. C., in avorio di mammut, si trova presso il Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo.Venere di Tan-Tan, La statuetta è alta circa 6 centimetri. É stata datata in un intervallo di tempo che va dal 500.000 a.C. al 300.000 a.C., è tra le prime rappresentazioni della figura umana. In origine era dipinta con ocra rossa in quanto doveva possedere qualche importa          nza simbolica; questo reperto è il più antico rinvenuto con tracce di pittura applicata dopo la lavorazione. Fu scoperta durante un’indagine archeologica svolta da Lutz Fiedler, un archeologo tedesco dell’Assia, nel deposito del fiume Draa, pochi chilometri a sud della città marocchina di Tan-Tan.

http://it.wikipedia.org/wiki/Veneri_paleolitiche 8 febbraio 09 ore 17.

[7] P. ADORNO, A. MASTRANGELO, Espressioni d’arte, Dalla preistoria al rinascimento,  vol. I, CE G. D’Anna, Firenze- Messina, 2004, p. 3I.

[8] A. CERINOTTI, Atlante illustrato dei Miti greci e di Roma Antica, Demetra, Prato, 1998, p. 8.

[9] W.  BEHRINGER, Le streghe, Il Mulino, Universale Paperbacks, Bologna, 2008, p. 34.

[10]Cfr.  E. DE MARTINO, Morte e pianto rituale Dal lamento funebre antico al pianto di Maria, Bollati Boringhieri, Torino, 2002, p. 221.

[11] E.  DE MARTINO, Op. cit., p. 218.

[12] Geremia, 14, 1-6.

[13] Gioele, 1, 4-12.

[14] E. DE MARTINO, Op. cit., p. 215.

[15] E. DE MARTINO, Op. cit., p. 231.

[16] E. DE MARTINO, Op. cit., p. 232.

[17] A.M. DI NOLA,  Scritti rari, I. BELLOTTA (introduzione a), vol.I, Edizioni Amaltea, Rivista Abruzzese, Corfinio,  2000, p. 30.

[18] AA.VV., Dei e Miti, dizionario di mitologia, p. 34.

[19]  ARNOBIO, Adversus nationes, V, 5-7.

[20] A.M. Di Nola, Misteri Eleusini- I miti di Cibele e Attis, in Enciclopedia delle religioni, vol. II, pp. 152-153

[21] A. MACROBIO TEODOSIO, Saturnalia, 1, 21

[22] ANGELA CERINOTTI, O.c., pp.12, 195

[23] A.A.  Nuova Enciclopedia Universale, A. Peruzzo Editore, Cremona 1976, vol. 9, p.2783.  Cfr. F. CARDINI  La cultura folklorica, a cura di, F. SALERNO Viaggi ad oriente della morte, i riti sacro-folklorici della settimana santa nell’Italia Meridionale.

[24] Deuteronomio, 16, 1-8 e Levitico, 23

[25] C. G. Jung, L’uomo e i suoi simboli, Biblioteca del pensiero moderno, longanesi & C., Milano, 1980, p. 143.

[26] Cfr. E.De Martino, O.c.

[27] Matteo, 13, 1-9, 24-30. Marco, 4, 1-9. Luca, 8, 5-15.

[28] Tutti i termini dialettali sono accompagnati dalla nota di traduzione. Non c’è omogeneità di dialetto perché le interviste sono state fatte in diversi paesi con differenti sfumature linguistiche.

Mezzetto= Unità di misura per aridi corrispondente a 25 Kg. Può indicare anche una misura di superficie e corrisponde ad 1/6 di ettaro cioè a mezzo tommolo.

[29] PAOLA SILANO Pulcherino, terra, acqua e antichi sapori a Villanova del Battista. Delta3 Edizioni, Grottaminarda, 2004, p.22.

[30] A.A., Slow, Rivista Internazionale di Slow Food, anno VII, agosto-ottobre 2003, D. Sutton, Kollivo, p. 104

[31] Grano cotto.

[32] Verruche.

[33] PAOLA SILANO, O.c, p, p. 21.

[34] Testimonianza dell’Autore di  F. Molinaro, Calvi, Gesù ma quelle mordevano!-Mordevano le grandi ma non le piccole- Maestro ma come le selezionavo? – Così i bambini Pietro, come li selezionavo? E restò il detto “San Pietro per un’ape ammazzò tutto il favo”.

[35] Padrone della masseria, affittuario o mezzadro.

[36] Pagnotta di due o tre chili.

[37] Vai, semina, mangia tu, dai da mangiare al cane e la pagnotta riportala intera.

[38] Testimonianza dell’Autore di F. Molinaro, Calvi.

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