L’artigianale secondo FAC. Fiera per un’economia relazionale e senza intermediari immateriali

[di Alessio Masone] Un mondo in crisi è un’umanità in fermento. Anche le modalità di una fiera dell’artigianato sono in trasformazione. FAC, la fiera di artigiani e creativi promossa dall’associazione CAAT, interpretando il cambiamento in corso, si è realizzata a Benevento, presso il Caffè dell’orto, domenica 29 giugno 2014.
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Alla ricerca di contesti non istituzionali, la fiera è avvenuta in un orto urbano, con un aperitivo artigianale e la musica dell’informale Banda del Buko’. Il gruppo musicale sannita, che include nelle sue esibizioni chiunque del pubblico, munito di strumento, si voglia aggiungere, annullando la separazione fra artista e fruitore, ha coinvolto i presenti in balli che sono durati fino a tardi. Si respirava aria di coesione. Il luogo, gli espositori, i fruitori, i musicisti e gli organizzatori sembravano un’unica comunità dal fare artigianale.
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Sebbene il mondo artigianale si lamenti della burocrazia, solitamente le fiere artigianali vengono promosse da organismi immateriali, istituzionali e sindacali, con conferenzieri e dibattiti, in luoghi canonici.
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Invece, FAC ha messo al centro della fiera la creatività dell’individuo e la relazione tra cittadini attori e cittadini fruitori, tramite uno stile (di azione culturale) non intermediario. Questa è l’epoca della filiera corta e della cultura materiale, ma numerosi professionisti dell’immateriale si intromettono per cavalcare l’onda, impedendo il cambiamento. L’intermediazione, che opera fra soggetti economici in modo più subdolo, è quella immateriale che, di fatto, agevola l’attitudine alla cittadinanza delegata e, a cascata, all’omologazione, all’esclusione, alla crisi economica.
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Artigianale non è solo la produzione manuale di un oggetto, ma è anche un’attitudine non seriale, non delegata, non mediata con cui si può produrre cibo artigianale (agricoltura contadina o familiare, la pesca artigianale…), si può produrre una vendita artigianale (se svolta da un piccolo negoziante indipendente), si può produrre un acquisto artigianale (se svolto in modo esperienziale, senza delegare alla grande distribuzione). Ma artigianale è anche un metodo, uno stile di azione culturale per organizzare un evento, una fiera, come nel caso di FAC. Quest’attitudine mette in discussione il sentire comune e, quindi, promuove un processo culturale più di certe professioni liberali che, con le loro posizioni di rendita, frenano il cambiamento.
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Quando si parla di un’economia reale oppressa dalla burocrazia, diventa necessario restituire credibilità ai mestieri manuali subalterni alle professioni intellettuali. Una subalternità che ha consentito al mondo immateriale di intellettuali, burocrati e politici di gravare sull’economia reale, intromettendosi come filtro feudale tra cittadino che produce concretamente e il concittadino che consuma, tra chi trasforma la materia e il territorio.
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Questo mondo ha bisogno di recuperare la fisicità dell’economia se si vuole evitare che redditi, identità e coesione abbandonino le comunità locali. Solo rigenerando una relazione diretta tra il produttore di economia reale, in quanto contadino, artigiano, negoziante indipendente, e il consumatore territoriale, si può ottenere un’economia relazionale, inclusiva e capace di felicità diffusa.
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La fiera FAC sembra andare in questa direzione grazie alle sue lungimiranti promotrici, Francesca Gerardo e Aurelia Palmieri. Il consenso ricevuto dalla fiera è dovuto anche alla fattiva collaborazione di Titti Saccomanno, Samanta Mignone e Attilio Renzulli. Strategico l’apporto di Paolo Scalise che ha realizzato le pietanze per l’aperitivo artigianale.
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Ma gli attori principali della “fiera senza intermediari immateriali” sono stati gli artigiani e i creativi presenti che, oltre ogni convenienza economica, misconosciuti partigiani del XXI secolo, investono ogni energia verso il cambiamento. Fiore Ranauro, giardiniere di San Giorgio del Sannio con la passione per il riuso degli oggetti, che qui esponeva lampade ottenute riutilizzando i contenitori monouso di birra alla spina; Daniela Severgnini che da Cremona si è trasferita nel Sannio, animatrice di numerosi eventi sostenibili, esperta di erbe e cosmetici naturali; Giovanna Megna, in rappresentanza della Fondazione Affinita, esponeva ceramiche realizzate, con il progetto “CreAttiva”, nell’Istituto penale minorile di Airola; Carmelo Camillo e Maria Pia Rubino, immancabili testimoni degli eventi alternativi con le loro tammorre e putipù; la Bottega del calzolaio di Benevento con numerosi oggetti in pelle; Florinda Capasso di Scisciano che ha ereditato dalla madre la passione di realizzare monili; Sarah Inserra che, in cassa integrazione come dipendente, si adopera per essere imprenditrice di se stessa realizzando collane di fimo e oggetti di decoupage; Paola Mucci con la sua sapiente passione per collane in cotone e maglina; Iolanda Ievolella e Annalisa Iarrusso con borse e oggetti di stoffa; Enza De figlio e Francesca Tretola con oggetti ricamati e gessetti profumati.

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