Teatro diffuso e crowdfunding per il De Simone. La proposta di Art’Empori

Per una cittadinanza artistica non delegata

teatro-de-simone-artempori[di Alessio Masone] Quando si leggono sui giornali e sui social network gli interventi sull’inagibilità del teatro De Simone, sembra che gli operatori culturali della nostra città vivano una dimensione parallela dove il mondo è rimasto ad alcuni anni prima della recessione.
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Anche il meno lungimirante degli amministratori pubblici vorrebbe tenere in funzione tutti i teatri del proprio territorio. Ma la vita non è un social network che regala quel delirio di illimitatezza che consente virtualmente di poter partecipare contemporaneamente a più eventi, di far parte di più gruppi anche quando in contraddizione tra loro.
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Nel mondo reale, quello dei limiti e della recessione, invece, si deve necessariamente rinunciare, non aggiungere all’infinito. Le limitate risorse finanziarie derivanti dalle tasse dei cittadini devono essere destinate alla sanità, alle forze dell’ordine, a chi a perso il lavoro, alla scuola o alla cultura? A quali rinunciamo?
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Oggi, è un controsenso raggiungere un teatro, attraversando il cimitero dei negozi chiusi o in chiusura, per sentire dagli attori che il mondo non va. Questa crisi è necessità e opportunità per il cittadino\spettatore di diventare cittadino\attore del cambiamento nel quotidiano.
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Certo, non si vuole che chi vive di teatro si aggiunga alla lista di quelli che stanno perdendo casa, azienda e lavoro. Ma forse quegli artisti potrebbero dare un segnale di cambiamento perché ormai esiste una corrispondenza diretta tra ogni spettacolo realizzato a carico delle strutture pubbliche e una partita IVA che chiude a causa delle tasse insostenibili, con conseguente perdita di posti lavoro.
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teatro-de-simone-poecivismo-23.09.10 artemporiI lavoratori dell’immateriale sono esponenti in buona fede di quel mondo dei servizi che, comprensivo della burocrazia, da accessorio, si è ritrovato a essere predominante e intollerabile, in termini di peso economico, sui mestieri manuali e sull’economia reale. Ebbene, i lavoratori dell’immateriale, potrebbero riprendere contatto con il mondo reale, potrebbero contaminarsi con le aziende locali: per non gravare sulla comunità in crisi e per accendere i riflettori dello spettacolo sui palcoscenici della resistenza economica quotidiana, gli eventi teatrali potrebbero svolgersi nel teatro diffuso rappresentato da vinerie, osterie, masserie, gallerie d’arte, librerie e altri negozi indipendenti.
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Questa crisi di sistema, con il suo cambiamento epocale, forse libererà la creatività dalla costrizione degli edifici pubblici, non luoghi della cultura in quanto sconnessi dal quotidiano e dalle sue emergenze: spazi istituzionali che si nutrono di responsabilità sociale lunga e che alimentano la delega.
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Gli artisti che non vorranno esibirsi in questi contesti di fruizione informale, di teatro diffuso nel quotidiano, probabilmente non sono portatori di cambiamento: a questi soggetti, rimasti sull’uscio della nostra epoca in crisi, potremmo rinunciare in nome di una giustizia sociale. Come un regista, per realizzare uno spettacolo, rinuncia per mesi a pezzi della propria vita, così gli spettatori,  rinunciando a quegli artisti che rappresentano l’immobilismo, sarebbero autori di un’azione artistica, sarebbero fruitori responsabili di arti coerenti con questo secolo.
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Visto che alcuni spettacoli necessitano, comunque, di spazi deputati e vista la necessità di tutelare il patrimonio edilizio storico, la società civile beneventana, dimostrando di non delegare responsabilità e soluzione ad altri, potrebbe configurarsi come comunità coesa che, dal basso, si attiva in prima persona in questo cambiamento epocale, raccogliendo fondi per recuperare la cappella che rende inagibile il De Simone. Certo, molti cittadini non riescono a saldare neanche le utenze di casa propria, ma molti altri concittadini, che possono ancora permettersi il superfluo, potrebbero contribuire: ad esempio, quelli che, in nome della cultura, amano viaggiare, potrebbero rinunciare a un viaggio all’anno per destinare il denaro risparmiato a un crowdfunding per il De Simone e altri edifici culturali che necessitano di manutenzione.
Senza rinuncia, non c’è cultura ma delega. Senza messa in discussione della popolazione non c’è cambiamento.

3 Risponde a Teatro diffuso e crowdfunding per il De Simone. La proposta di Art’Empori

  1. Alessio Masone 3 gennaio 2015 a 10:02

    Mario, il mio è solo un suggerimento. Qualcuno, che è parte del mondo dello spettacolo, può attivare il progetto di crowdfunding su una delle piattaforme (come https://www.produzionidalbasso.com/).
    Alessio Masone

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  2. Mario Scalise 2 gennaio 2015 a 17:21

    Va benissimo quello che scrivi Alessio: istituisci un sito con annesso IBAN, nomina altri due membri e verserò la mia quota (compatibilmente con le mie disponibilità economiche).
    Dovrà essere pubblicata la lista completa dei contributi e fatta una gara pubblica per scegliere la ditta che dovrà effettuare i lavori.
    Mario Scalise

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  3. TULLIA 30 dicembre 2014 a 12:16

    Sono d’accordo sull’analisi. Si potrebbe così sensilibilizzare l’opinione pubblica su un problema che non è nuovo, a Benevento. Basti pensare all’Arco di Traiano. Siamo assai insensibili al ‘materiale’, figurati all’immateriale… Delegare alle istitruzioni, viste le tasse che paghiamo, non è però un controsenso. Anzi. Sì al crowdfunding (lo si fatto per ‘Riverberi’, grazie a dio) , no alla delega; ma anche sì a pretendere, da chi ci amministra, qualcosa di più e di diverso. Magari un intervento in coesione con il nostro.

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