L’era di Facebook per delegare anche la comunicazione

L’era di Facebook per delegare anche la comunicazione.
Libertà di scegliere, nell’ambito di opzioni precostituite da altri, è libertà?

di Alessio Masone (bmagazine-art’empori di dicembre 2009)

E’ comodo far scegliere, alle televisioni e ai giornali nazionali, le informazioni che vogliamo apprendere.
E’ comodo far scegliere, ai critici, alle accademie e ai giornali, gli artisti che gradiamo leggere, ammirare e ascoltare.
E’ comodo far scegliere, alle catene di supermercati e alle catene di franchising, i prodotti che ci occorrono.
E’ comodo eleggere i nostri rappresentanti nelle istituzioni, come nostra attività di impegno civico.
E’ comodo ascoltare o leggere Saviano, come nostra attività di contrasto alla corruzione e la criminalità organizzata.

Ma solo lo scegliere, in prima persona, trasforma il mondo.

Ascoltando, alla TV, Saviano, ci emozioniamo, urliamo dentro di noi, ma, poi, nella nostra vita, quella che facciamo con le azioni, non quella che ascoltiamo o leggiamo, siamo rimasti uguali. A cosa serve che ci sia un solo Saviano che agisce, quando parla, se noi, compatti, restiamo, di fatto, immobili negli stili di vita? Abbiamo lasciato da solo Saviano e, se un giorno lo assassineranno, noi, sebbene complici, grideremo allo scandalo. Ma Saviano non corre questo rischio: i suoi nemici sanno bene che il suo parlare, in fin dei conti, non trasforma il mondo. Tutto resta identico a prima, grazie a noi.

Se vogliamo trasformare il mondo, dobbiamo prenderci la briga di impegnarci in prima persona e con il nostro agire quotidiano, non con una lettura che, risollevando la nostra coscienza, ci dica che i cattivi sono gli altri.

Delegare i nostri compiti è solo un modo, comodo per noi e scomodo per il mondo, di lasciare che nulla cambi.
Il XXI secolo pretende che la popolazione non deleghi ai propri governanti, la gestione del bene collettivo.
Segnali, in questa direzione, si diffondono, grazie alla democrazia partecipativa e al consumo critico, ma anche tramite la rete web.
Finalmente, grazie al web, l’informazione avviene con una modalità orizzontale e biodiversa. Forse, troppo biodiversa. Troppe variabili. Troppe energie sono necessarie per muoversi in un mondo orizzontale e democratico, senza gerarchie, senza punti di riferimento, se tutti siamo alla pari.

E allora, per sollevarci da tanto stress, una multinazionale ci crea un web parallelo dove scorazzare, in lungo e in largo, incontrando solo cose belle, solo persone che ci piacciono e, soprattutto, senza sforzo, facendo uso del solo clic del mouse. Un mondo, comodo ai nostri occhi e alla nostra mente, che praticamente non necessita, ormai, neanche della tastiera. Ormai, in questo mondo superorganizzato, superconnesso con tutti, è inutile scrivere. Basta scegliere fra le opzioni del sistema, per circondarsi di amici (aggiungi amici tra…), per essere titolari di un pensiero (condivido, mi piace), per sentirsi parte di un’azione (ci sarò, forse ci sarò, non ci sarò). Per sentirsi, finanche, un deus ex machina della collettività, si sceglie cosa far nascere in questo mondo parallelo, linkando gli articoli e i video realizzati sempre da altri individui sui giornali nazionali o su Youtube.

A chi cede alla tentazione di non sforzarsi a scrivere in prima persona, dobbiamo dire che trasferire le suggestioni, dallo stato di idee allo stato di parola scritta, è azione: nel modificare quella suggestione, mediandola con il mondo esterno, rendendola intelligibile agli altri, ci costringiamo a trasformare noi stessi. Quella suggestione, che prima era solo ansia individualistica, diventa energia collettiva, mettendoci in rete col mondo: stavolta davvero, perché, agendo, noi contaminiamo il mondo,  non lo subiamo.

Delegare, a un altro individuo, la cura del proprio bambino risolve il problema logistico, ma decurta quel percorso che avviene solo se realizziamo le azioni in prima persona: l’equilibrio socioaffettivo, a favore del bambino, e, a nostro favore, l’attività esperienziale che trasforma. Infatti, trasformare il mondo passa per il trasformare sé stessi. Se noi restiamo uguali, anche il mondo ne conseguirà.

FB, come una cocaina, ci somministra l’euforia che tutto sia possibile, che ogni iniziativa, se inserita lì, sembri più intrigante e più innovativa di tutte quelle che sono fuori; ci somministra la suggestione che il rapporto con gli altri sia agevolato, facendoci respirare un’aria di condivisione, come se fossimo, tutti insieme, a una manifestazione di piazza, a un concerto.

Quando, poi, usciamo dalla gabbia dorata, ritornando alla vita reale, ci rendiamo conto che, nonostante la capacità di FB di darci parola e di metterci in connessione con gli altri, il mondo è rimasto identico.
Grazie a FB, che, nel mondo virtuale, ci soddisfa il nostro fabbisogno giornaliero di impegno civico e relazionale, poi, nel mondo reale, i nostri stili di vita sono rimasti identici, l’incomunicabilità con l’altro è rimasta identica, nulla è cambiato.

Dopo l’euforia collettiva, ci accorgeremo che, in un sistema chiuso, come FB, noi non ci evolviamo, non avendo la possibilità di condizionare il sistema, non potendo andare oltre le opzioni previste, non consentendoci biodiversità e ribellione.
Fra alcuni anni, se ancora esisterà, riaprendolo, troveremo le stesse faccine, le stesse frasine, le stesse interiezioni, al posto dell’essere.
Il mondo sarà rimasto uguale, le nostre menti si saranno impigrite in un sistema che pianifica per noi.
A volte, troviamo lì dentro, nella gabbia, iniziative innovative, ma quelle sono nate fuori, nel mondo faticoso, sui blog del web libero o nei luoghi fisici dove si incontrano, libere da comodi schemi, le persone.

In questi anni, FB sarà riuscito solo a distogliere l’energia di quegli individui che si accingevano a costruire, faticosamente, nel web libero, biodiverso e dalle scelte infinite, un luogo che ci costringe a mettere in discussione la nostra visione e la nostra relazionalità con l’altro, come quando siamo in una lista di discussione con centinaia di persone che non conosciamo, ancora.

Il mondo sta già pagando l’incapacità degli individui a essere imprenditori di sé stessi: impigriti nelle griglie delle grandi aziende, i lavoratori hanno delegato ad altri le loro attitudini professionali. Ora, stante la crisi dei sistemi di scala, i lavoratori non sono capaci di adattarsi alla nuova economia che fa a meno di quelle grandi società, tra l’altro, estranee ai territori.

Ebbene, ora, si vuole incanalare anche l’energia della società civile in FB, in quel mondo virtuale del fare, dove ci sembra di protestare e di cambiare il mondo, mentre, in realtà, stiamo smarrendo l’attitudine a contrastare il sistema omologante, perché, ormai irreggimentati, abbiamo delegato, proprio a quel sistema omologante, il nostro protestare.

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