“Valani, una storia nostra” di Peppe Porcaro

Posto l’ottimo articolo di Peppe Porcaro sullo spettacolo “Valani”. Lo definisce “una storia nostra” perché “Valani” descrive una consuetudine radicata nella normalità della vita beneventana, poi, riconosciuta vergognosa.

Ma è “una storia nostra” anche perché le attività per la realizzazione dello spettacolo, “iniziate” negli anni cinquanta, vedono, come protagonisti, l’indimenticabile don Ciccio Romano (avvocato beneventano), Elisabetta Landi (Libreria Luidig, BN), Michelangelo Fetto e Tonino Intorcia (Solot) e i Sancto Ianne. 

Ritengo di ringraziare tutti questi per aver fatto giustizia due volte: nell’innescare processi culturali che procurano giustizia (ai valani di ieri) e nell’utilizzare temi e risorse locali che agevolano una comunità che, identitaria e coesa, è portatrice naturale di giustizia (ai valani di oggi).

Alessio Masone

Valani, una storia nostra

di Peppe Porcaro – 23 marzo 2010 – Sanniopress

C’è una storia mai raccontata che riguarda noi tutti, una storia negata, nascosta. Una storia da non divulgarsi, da tenersi  ammucciata tra le rive del sabato e del Calore.  Una storia che i più preferirebbero dimenticare, tanto la vergogna che si porta dietro.

Una storia di ordinario sfruttamento e schiavitù andata in scena nelle campagne del beneventano fino agli anni sessanta del secolo scorso, quando giovani fanciulli di sesso maschile, e in qualche caso anche i loro padri, venivano venduti agli agrari, notabili proprietari terrieri, per qualche sacco di grano e poche lire.

Il prezzo veniva concordato nella centralissima piazza Orsini di Benevento, all’ombra delle macerie del Duomo fatto oggetto del bombardamento alleato. Tutto accadeva alla luce del sole,dunque. Sotto gli occhi della città ignava. Il 15 di agosto, giorno dedicato all’Assunta, le famiglie povere del contado beneventano portavano i loro figli sul candido marmo degli scalini del Duomo perché, acquistati dal Padrone, diventassero infine Valani.

L’acquisto del Valano da parte del Padrone avveniva dietro  un’attenta valutazione morfofunzionale del candidato: al malcapitato veniva richiesto di aprire la bocca perché si constatasse lo stato di salute. Poi il Padrone controllava spalle e gambe per sincerarsi della capacità del Ualano a sopportare lo sforzo fisico. Infine si pattuiva il prezzo, che per un anno di lavoro non andava oltre 2-3 quintali di grano e mille-duemila lire! 

I giovani valani così acquistati  passavano, per un intero anno, nella piena disponibilità degli agrari il giorno 8 settembre, natività della vergine Maria non a caso Protettrice dei Ualani. Presso il padrone il valano si occupava in genere del lavoro in stalla e di ogni altra attività propria del calendario agricolo. Tornava il valano  presso la sua famiglia per poche ore ogni 2-3 settimane per la cambiata, ossia per depositare panni sporchi e prenderne di puliti, quando c’erano. Per il resto ai giovani schiavi non restava che lavoro a servizio e sopraffazione, anche fisica, fino al 15 agosto successivo quando, tornati in piazza Orsini, ci si poteva ancora una volta vendere ad un nuovo padrone. E così via, di catena in catena.

La città di Benevento, come detto, assisteva con ignavia  al mercato dei Ualani. Per molti beneventani, in verità, il giorno dell’Assunta era un diversivo importante, un modo come un altro per godersi lo spettacolo.

Ci volle la penna e la sensibilità dell’indimenticato Francesco “Ciccio” Romano per denunciare pubblicamente l’ignobile mercato. Romano pubblicò un primo articolo nel 1950 sul Secolo Nuovo (Uomini venduti in cambio di sacchi di grano) cui fecero seguito altri due articoli-denunce. Successivamente all’avvocato Francesco Romano dell’ignobile tratta si interessano Corrado Alvaro, Luigi Einaudi, Gaetano Salvemini. Ci fu anche un’interrogazione parlamentare, nel 1952, a firma del socialista Luigi Renato Sansone. Grande scandalo per la pubblica esposizione di carne umana nel mercato di piazza Duomo Benevento.

Ci si interrogò sulla stampa nazionale delle condizioni in cui versavano le popolazioni rurali nel Mezzogiorno. Poi i cambiamenti economici che investirono l’Italia del secondo dopoguerra (campagne comprese) posero fine alla tratta dei Ualani oggi in verità sostituita, in molte realtà agricole del Paese, dal vergognoso sfruttamento degli immigrati, soprattutto africani ma anche rumeni e indiani, i nuovi valani.

Quella dei Ualani, gli schiavi bambini, rischiava di essere una storia non raccontata, una storia persa. Dunque, una non storia. Ci ha pensato però una giovane studiosa sannita, Elisabetta Landi, a dare voce ai Ualani con la sua pregevole Tesi in storia moderna e contemporanea “Valani e Varzoni: la schiavitù nel beneventano nel secondo dopoguerra (1945-1960)”. Ora quel lavoro della Landi, liberamente adattato dalla Solot compagnia stabile di Benevento,  è diventata un’opera teatrale e magistralmente rivive con le parole di Michelangelo Fetto e Tonino Intorcia e le musiche originali, eseguite dal vivo, dei Sancto Ianne chiamati pure a sostenere il ruolo del Coro recitante, come da migliore tradizione. Valani, questo il titolo, è andato in scena con gran successo al Mulino Pacifico il 20 e 21 marzo.

Due sole serate per ricordare l’immane dramma che ha riguardato diverse centinaia di giovani Ualani e una fetta di storia della nostra città.  L’augurio è che la città voglia ora riscattarsi da questa sua storia, vergognandosene quanto basta ma non nascondendola, come sua consuetudine. La si porti in giro nei teatri, dunque. Che se ne faccia un libro, e poi un altro ancora. E magari un film, perché no? Ma soprattutto, che qualche docente coraggioso, o forse soltanto curioso, ne parli a scuola a quei ragazzi che oggi hanno la stessa età dei Ualani di allora.

4 Risponde a “Valani, una storia nostra” di Peppe Porcaro

  1. Sabatino 6 maggio 2010 a 11:31

    Mi sento uno all’ antica in tutto, nelle scelte sentimentali, nella professione, nei rapporti con glialtri. Coltivo il culto dell’antichità, dei suoi valori e significati. Non mi piace questa società dell’immagine costruita su parole che non nascono da sentimenti veri, suonano vuote e false. Preferisco il nulla o l’isolamento, alla finzione dellarealtà. odio il superfluo,il mioamore per la sostanza delle cose,per la semplicità del
    quotidiano che ci fa percepire il gusto dell’eternità.
    Tutto questo per dire che ieri sera ho avuto la fortuna di seguir elo spettacolo valani al teatro di Benevento ..ne sono rimasto entusiasto e sarei interessato ad avere materiale per approfondire l argomento..sarebbe bello poter leggere la tesi della landi cosi come i testi dello spettacolo sopra menzioanto
    A risentirci
    Sabatino da Bucciano

    Rispondi
  2. elisabetta landi 17 aprile 2010 a 10:14

    Sull’origine e l’uso del termine valano esiste una vasta documentazione. vi segnalo lo studio più serio ed interessante:

    D. Petroccia: “Alani e gualani nei gali longobardi del Sannio”; in Samnium 1869.

    a presto, elisabetta landi

    Rispondi
  3. L'uomo della strada 3 aprile 2010 a 16:22

    Da Massimo Simeone >>>>

    In questa vigilia di Pasqua, ritorno sull’argomento dei ‘valani’.

    Sono anch’io rammaricato di non aver assistito alla rappresentazione della compagnia Solot che ispirandosi agli studi di Elisabetta Landi ha recentemente ricordato e ripercorso la triste vicenda dei ‘valani’ (o ‘ualani’).

    Avevo letto del mercato dei “valani” a Benevento su una copia di CITTÀ SUL CALORE, GUIDA DI BENEVENTO NELL’ANNO 1950 dell’avv. Francesco Romano, recuperata fortunosamente nel 2003 da un fascio di carte e libri destinati alla distruzione.

    A pag. 90 dell’opuscolo c’è l’articolo “UNA FIERA DISONORANTE Uomini venduti in cambio di sacchi di grano Come da secoli nei giorni della natività di Maria Vergine”, che continua a pag. 91, e due fotografie in bianco e nero che documentano, come dice la didascalia, “…un gruppo di ragazzi che l’8 settembre 1949 formarono l’oggetto dell’indegno mercato di carne umana. Siamo dinanzi all’ingresso dell’ufficio di collocamento della Città”, vale a dire in Piazza Duomo, e “…un momento della contrattazione”.

    Nell’articolo in questione non viene adoperato il termine valano, ma, appunto, quello di “garzone” (di solito garzone , dal francese garçon = ragazzo, indica chi, spesso di giovane età, è addetto a mansioni minute ed elementari nelle attività artigianali e dell’agricoltura).

    Non so se negli studi di Landi o nel lavoro della SOLOT viene chiarito il significato di valano o ualano, che potrebbe derivare dal tardo latino popolare equalanus, cioè aratore (da equare = livellare il terreno, e quindi arare), e per estensione bifolco, chi conduce i buoi ad arare la terra .

    Il deputato socialista Luigi Renato Sansone (nativo di Lucera, FG), peraltro, nell’interloquire col Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale che nella seduta notturna della Camera dei deputati del 15 gennaio 1952, risponde alla sua interrogazione sul Mercato dei garzoni “alani” in Benevento (INTERR n. 2953), lo fa derivare da alano, cioè (razza di) ‘cane’, quasi a sottolineare l’infima condizione di vita servile e di considerazione dei giovani garzoni agricoli meridionali.

    La Solot, Peppe Porcaro e Alessio hanno fatto sicuramente bene a riportare oggi alla ns. attenzione questa brutta storia dei valani e lo studio di Landi, che effettivamente ci inducono a confrontarci con un passato poco edificante e per molti versi dimenticato.

    Della vicenda, peraltro, si era occupata anche la stampa nazionale fin dal 2006, come ricorderanno tutti coloro chi hanno letto La Stampa di Torino dell’11/10/2006 recante a pag. 13 un bell’articolo del giornalista barese Antonio Massari sugli ultimi valani di Castelpoto, venduti anche loro come animali sulla piazza Orsini di Benevento, tra gli anni ’40 e ‘ 60 del XX secolo, e trattati forse peggio.

    [Il che, tra parentesi mi induce a questa prima constatazione: un primo squarcio, dopo decenni di oblio, su un aspetto poco commendevole della ns. storia cittadina e sulla studiosa che se ne è occupata, è venuto da un giornalista ‘pugliese’ su un giornale ‘piemontese’, quasi a dimostrare con Sciascia che non occorre essere necessariamente siciliani (o sanniti) per raccontare e capire la mafia (o le vicende della ns. terra), come non è siciliano il capitano Bellodi de Il Giorno della Civetta, che viene da Parma e ha fatto la resistenza e capisce la mafia meglio di chi le vive accanto o ha militato nel movimento autonomistico siciliano, la capisce forse meglio persino del suo creatore artistico, come accade talvolta ai personaggi dei grandi scrittori (così almeno ci suggerisce – liberi noi di concordare o meno – lo scrittore Claudio Magris).]

    Un’altra constatazione derivante dalla vicenda dei valani è che la campagna non è stata (e non è) l’idilliaco mondo dell’armonia dell’uomo con l’uomo e con la natura che alcuni vogliono “venderci” per farci acquistare le loro merci, e neppure, di per sé e necessariamente, il luogo privilegiato dell’identità di una comunità, identità che invece si costruisce, a mio parere, sull’emersione e sull’equo contemperamento degli interessi in gioco, in base a valori condivisi.

    Sono molte le pagine e le foto della peculiare ‘Guida’ cittadina (del 1950) dell’Avv. Romano, incluse quelle sui garzoni di cui si è detto, che evidenziano di che “lacrime e sangue” grondino luoghi familiari e attività produttive ‘tradizionali’ (ad es. oltre all’agricoltura, quella del torrone ) della nostra città, nelle quali ultime pure risiederebbero, secondo alcuni, i semi della ns. identità e del ns. riscatto, o di una vita ‘felice’…

    Ma anche il mitizzato ‘ritorno’ a tali attività, o il loro rilancio, potrà, forse, essere ‘salvifico’ per alcuni, ma non per tutti in mancanza dell’equo contemperamento degli interessi di cui si è detto.

    Il contenuto dell’interrogazione parlamentare del deputato Sansone e la risposta del Sottosegretario al Lavoro sono consultabili all’indirizzo :

    http://legislature.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0830/sed0830.pdf

    [Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, vedere le pagg. 34589-34590]

    L’articolo de La Stampa sui valani di Castelpoto è leggibile all’indirizzo:

    http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=7255382

    03-04-2010.

    Massimo Simeone -Benevento

    Rispondi
  4. lo_scissionista 26 marzo 2010 a 19:07

    be’, al tempo i valani furono il prodotto di una comunità identitaria fino all’autoreferenzialità e coesa fino al monolitismo. portatrice, non naturale, di ingiustizia.

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