Scelta, esercizio spirituale e filosofia greca agita

Scelta: gesto compulsivo o esercizio spirituale? cittadinanza delegata che omologa o rinuncia che cambia il mondo?
Sabato sera, al Caff’Emporio, si è discusso di “scelta”.
Mi domando: scelta come migliore opzione utilitaristica o scelta come rinuncia a una parte di sé, di messa in discussione, di crescita personale e, quindi, universale?
Il nostro scegliere è come un supermercato dove dare spazio a emozioni compulsive, aggiungendo sempre più beni di consumo, scelti fra gli altri, senza mai togliere, senza mai rinunciare?
Il nostro scegliere è come un social network (facebook), dove dare spazio a emozioni compulsive, consumando sempre più informazioni e relazioni umane, senza mai togliere, senza mai rinunciare?
Credo che scelta, quella che sortisce cambiamento, sia quella a cui consegue una rinuncia che appunto fa spazio alla nuova scelta: la rinuncia, come un esercizio interiore (spirituale), modifica il sé e, quindi, il mondo. In questo senso, ci si arricchisce più togliendo che aggiungendo.
Al contrario, l’individuo che delega (il cambiamento), con qualunquismo, voracemente prende (ritenendo ingenuamente di scegliere) tutto quello che gli viene presentato (e senza mai togliere, rinunciare), restando omologato e complice dello status quo.
Personalmente, quando devo scegliere a cosa rinunciare, per dare energia ad altro, mi sforzo di orientarmi non in base alle emozioni del momento, ma considerando complessivamente il mio percorso personale, la mia attitudine da dare al mondo.
Facendo esempi macroscopici, per dare spazio alle specificità della mia personalità, abitualmente, io rinuncio alla lettura di giornali, a facebook, al calcio, al cinema, ai viaggi, alle uscite del sabato sera…
Certo, mi perdo di fruire di un sacco di emozioni (che essendo emozioni secondarie, delegate, probabilmente non sortiscono cambiamento ma omologazione), ma investo in un percorso personale da dare al confronto del mondo (produrre azione è fonte di emozioni primarie, esperienziali, che hanno più probabilità di sortire cambiamento).
Effettivamente, dovremmo noi, nel nostro piccolo, essere come quegli scienziati e artisti, che hanno lasciato qualcosa al mondo, perché si sono concentrati sul loro personale percorso, senza farsi sedurre dalle infinite opzioni che la modernità serve su un piatto d’argento.
A tal proposito, in calce, vi segnalo l’articolo che, basandosi su Pierre Hadot, illustra il rapporto tra esercizi spirituali e filosofia, tra filosofia come scelta di vita e filosofia come accademia.
Alessio Masone



Pierre Hadot
è autore del libro “Esercizi spirituali e filosofia antica”, Einaudi.
Il libro ricostruisce la storia di un sistema di pratiche filosofiche che si proponeva di formare gli animi piuttosto che informarli, attraverso un lavoro su se stessi che coinvolgeva non solo il pensiero, ma anche l’immaginazione, la sensibilità e la volontà. Così interpretata, la filosofia diviene per gli antichi esercizio attivo, continua rimessa in discussione di se stessi e del proprio rapporto con gli altri, uno stato di liberazione dalle passioni, di lucidità perfetta, una maniera di vivere prima che un sistema di pensiero. Dal dialogo socratico e platonico a Epicuro, da Seneca a Epitteto e Marco Aurelio fino all’età contemporanea, Esercizi spirituali e filosofia antica esplora la centralità, il declino e l’intermittente ripresa di una dimensione riflessiva della storia del pensiero, analizzando le diverse concezioni filosofiche che ne hanno accompagnato le trasformazioni successive. Focalizzando l’attenzione sulla filosofia come modo di vivere, Hadot torna a porre da un’ottica estremamente originale il problema del ruolo e del significato del fare filosofia oggi.

Filosofia come arte di vita
(di Matteo Antonin – La rotta per Itaca)

… Questi pensatori propongono di recuperare l’aspetto vitale e pratico della filosofia che era proprio degli antichi greci, ai tempi delle scuole filosofiche e prima che questa “vitalità” filosofica venisse soppiantata e sostituita da una visione accademica e teoreticistica della filosofia, che l’ha ridotta a mera trasmissione di sapere completamente separata e sconnessa dalla vita.

Secondo questi autori è necessario ricondurre la filosofia a un’origine individuale, personale e pratica.

In particolare Pierre Hadot ha dedicato numerosi testi (Che cos’è la filosofia antica?, Esercizi spirituali e filosofia antica, La filosofia come modo di vivere) all’analisi del rapporto tra filosofia intesa come arte di vita e tecnica dell’esistenza e discorso filosofico, sul quale secondo l’autore francese si basa la differenza tra la filosofia degli antichi e quella dei moderni.

La filosofia moderna altro non sarebbe che una serie di teorie astratte finalizzate alla spiegazione dell’universo: che queste teorie vengano poi applicate è del tutto irrilevante.

La filosofia antica presentataci da Hadot è lontanissima da questa prospettiva: in essa vi era uno stretto legame tra filosofia e vita. Lo scopo principale della filosofia antica era quello di modificarsi e migliorarsi: in questo senso la filosofia altro non è che un addestramento e una ginnastica propedeutica all’affrontare la vita, e non certo una serie di proposizioni speculative finalizzate alla spiegazione verbale della realtà.

Per Hadot la filosofia deve ancora oggi dipendere da una scelta di vita, da una scelta esistenziale su come si vuole essere che non può essere espressa concettualmente: nell’antichità chi frequentava una scuola filosofica (fosse l’accademia platonica piuttosto che le scuole stoico-epicuree) prima effettuava una scelta pratica di esistenza, e soltanto dopo si preoccupava di giustificarla e argomentarla filosoficamente.

In questo modo la filosofia diventa propedeutica alla saggezza, modalità di aspirazione alla saggezza e alla sapienza: non c’è differenza tra filosofia e vita: la pratica filosofica è una modalità di vita per il raggiungimento (tuttavia mai del tutto possibile) della saggezza.

Per gli antichi (e figure come Socrate o Diogene il cinico lo testimoniano) filosofo non era colui che produceva teorie filosofiche, bensì colui che viveva da filosofo.

L’esempio più famoso è forse quello di Diogene di Sinope detto il cinico. Racconta Diogene Laerzio nella sua opera Vite dei filosofi che Diogene, il quale aveva sposato una vita fatta di soli bisogni naturali necessari, – non volendo aspirare a nulla che fosse superfluo – non solo viveva dentro una botte, ma, accorgendosi che poteva bere l’acqua congiungendo le mani ad incavo, gettò via per sempre la ciotola con la quale era solito abbeverarsi, ritenendo di non averne più bisogno.

Nell’antichità aderire ad una scuola implicava una scelta esistenziale, un matrimonio di vita con i princìpi di tale scuola, un’ascesi spirituale che modellasse lo spirito e il corpo: l’importante non era la conoscenza della verità, ma la vita secondo essa.

Ma come era possibile vivere secondo la propria scelta esistenziale filosofica?

Hadot elenca tutta una serie di esercizi spirituali e fisici, i quali nelle scuole filosofiche di età ellenistico-romana contribuivano a modellare corpo e spirito, contribuendo al processo di creazione del singolo uomo e al suo progetto di soggettivazione etica e morale: attraverso una scelta filosofica l’individuo sposava un modo di vivere e una sorta di princìpi etici, i quali erano soltanto suoi, e non imposti dall’esterno.

Conoscenza e coscienza di sé, esame di coscienza quotidiano, stretto rapporto maestro-discepolo e dialogo quotidiano, meditazione, elevazione dell’io verso la totalità, premonizione dei mali, pensiero della morte e della caducità della vita sono soltanto alcuni degli esercizi propedeutici che formavano il filosofo.

Una volta formato il filosofo era pronto a pensare con la propria testa e ad affrontare la vita con saggezza: nella vita, al suo interno, senza limitarsi al solo discorso filosofico sulla vita, ma passando all’azione vera.

Di questo filosofo, come di quest’uomo in generale, c’è gran bisogno, oggi come allora: anche se Kant sottolineava come «oggi però si prende per un sognatore colui che vive in modo coerente con quello che insegna», un’attività concreta e pratica volta alla conoscenza di sé e alla trasformazione del proprio modo di vivere e di percepire il mondo è oggi non meno importante di quanto lo fosse ai tempi di Socrate e Diogene.

Scrive Pierre Hadot: «Finché su questa terra il saggio, perfetto nel suo modo di vita e nella sua conoscenza, non sarà realizzato, non vi sarà filosofia».

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