Dopo la primavera araba, l’autunno grillino? I grillini per continuare a delegare.

Il successo elettorale dei grillini in Sicilia è l’espressione di una popolazione che persevera nel delegare il cambiamento?

[di Alessio Masone]
Dal punto di vista dell’impegno pubblico
Se volessimo individuare una distinzione fra mondo politico e società civile, in base a quello che si mette a disposizione della collettività, gli uomini politici tendono a proporre le loro capacità decisionali sulla cosa pubblica esistente. Gli esponenti della società civile tendono a realizzare, in piccolo ma in prima persona, quello che ancora non esiste nella cosa pubblica.
L’uomo politico, proponendosi per decidere sull’esistente, utilizza il linguaggio dell’esclusione perché, nei luoghi delle decisioni, prende il posto di un altro uomo politico.
L’esponente della società civile, in un contesto meno canonico e più creativo, all’esistente aggiunge la sua attività che, insieme a quella di altri attivisti, si somma con complementarietà e inclusione, aggiungendo nuovo valore alla comunità territoriale. Se esistesse un metro capace di misurare, oltre al PIL, anche il “valore aggiunto volontaristicamente” dalla società civile (VAV?), avremmo uno strumento per orientarci verso una reale creatività collettiva.
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Da questo punto di vista, sembrerebbe che i grillini siano identici a quegli stessi uomini politici che vogliono sostituire, escludendoli: intendono semplicemente entrare nelle istituzioni per decidere sull’esistente della cosa pubblica. Le decisioni dei grillini sarebbero migliori solo perché loro sarebbero più puri degli altri? In questo metodo, a prescindere dalle buone intenzioni, si scorge la violenza della sopraffazione, della competizione, della corsa alla gestione del potere decisionale.
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Dal punto di vista dell’elettore
Chi vota i grillini, prevalentemente, confina il proprio impegno civile semplicemente nel delegarlo ai rappresentanti di un carismatico personaggio massmediatico.
Ma possiamo affermare, analogamente, che chi vota PDL, prevalentemente, confina il proprio impegno civile semplicemente nel delegarlo ai rappresentanti di un carismatico personaggio massmediatico.
Se la classe politica è espressione di una popolazione, nonostante la sostituzione formale dei soggetti politici, quella classe dirigente, nei fatti, resta identica, visto che la popolazione, nel sentire quotidiano, non è cambiata. L’attuale crisi potrebbe costituire l’opportunità per una popolazione che realizza in prima persona una risposta risolutiva che, naturalmente, porta con sé una coesione sociale e una felicità diffusa che oggi mancano. Invece, per ora, molti, per non farsi carico del cambiamento, continuano a delegare, pretendendo di sostituire semplicemente la classe politica.
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Qualcuno affermava che facebook è utile anche al mondo occidentale, visto che aveva reso possibile la Primavera araba.
Ebbene, facebook è utile per creare un movimento di opinione contro le dittature novecentesche, quelle identificabili in una o poche persone, ma non per contrastare le egemonie di potere diffuso che allignano nelle democrazie del XXI secolo, come quelle delle nazioni occidentali.
Infatti, quei paesi arabi, che si sono liberati dei dittatori, non hanno risolto i loro problemi, come si erano illusi, perché la democrazia di un popolo non matura da un giorno all’altro, non delegando le responsabilità.
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Non basta eliminare il sintomo di un malessere, se non si lavora sulla causa di quel malessere che risiede diffusamente nella popolazione. Pensare di risolvere individuando nei politici i responsabili significa cercare capri espiatori per non mettere in discussione il sistema.
Non basta sostituire un esponente politico con un altro, ma è necessaria una nuova consapevolezza che si diffonda nella popolazione: fin quando i cittadini continueranno a delegare le responsabilità ai vecchi politici e il cambiamento ai nuovi politici, una nazione resterà identica nei suoi ingranaggi, sempre mancanti di una coesione sociale e di una cittadinanza non delegata.
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Dalla democrazia rappresentativa alla democrazia diffusa (cambiamento dal basso)
Sfugge agli analisti politici la considerazione che, ormai esenti da dittature formali, dobbiamo ammettere il fallimento della democrazia rappresentativa che, basandosi sul paradigma maggioritario, escludendo le minoranze, rallenta il cambiamento, agevola l’esclusione, disperde la coesione sociale e promuove la delega.
Quando vedremo un’assemblea condominiale o un comitato di quartiere (enti determinati con metodo maggioritario) capaci di decidere secondo contenuti e inclusione, e non secondo la giustizia formale, allora potremmo ritenere che esista una speranza per una sana democrazia rappresentativa anche in un’assemblea comunale, regionale o parlamentare.
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Sfugge agli analisti anche che la classe dirigente non è costituita solo dai politici, che si possono eliminare con il voto elettorale: la classe che dirige i processi sociali ed economici di un paese, che è corresponsabile della crisi economica e sociale, è costituita anche da funzionari statali, sindacalisti, imprenditori, giornalisti, docenti universitari, intellettuali e artisti.
Il cambiamento può avvenire solo dal basso, quando il cittadino, senza delegare responsabilità e cambiamento ad altri, si mette in discussione, realizzando una gestione responsabile delle emozioni quotidiane (stili di vita responsabili capaci di inclusione e di cittadinanza non delegata), determinando esperienzialmente, permanentemente e diffusamente microdecisioni non delegate che incidono sulla collettività.
Visto che gli esponenti della classe politica, amministrativa, imprenditoriale e intellettuale, nella vita di tutti i giorni, sono in mezzo a noi (quando comprano, mangiano, viaggiano, leggono, si innamorano, frequentano amici…), se noi cittadini cambiamo, tramite il quotidiano, il cambiamento arriverà diffusamente nella classe dirigente che, a quel punto, sarà matura per promuovere un nuovo modello culturale e di sviluppo.

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