L’uomo dei cani. Una vecchia intervista per ricordare Pasquale Casciello, p’artigiano del cambiamento.

Come Pasquale Casciello si raccontava per la rubrica di Benevento EcoSolidale/Art'Empori, inserto di bMagazine, maggio 2009.

Pasquale_Casciello e i suoi cani[di Pasquale Casciello] Non avrei mai pensato di dover, un giorno, raccontare “pagine della nostra vita”. Rispetto a molti amici della Rete Arcobaleno Benevento, la mia vita è lunga quasi il doppio, per cui lo spazio assegnatomi è la metà di quello degli altri: dovrò tralasciare tratti salienti della mia esistenza.
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Una vita, tutto sommato, normale di un bambino normale, in una famiglia normale. Cosi sembrava, ma mio padre era un antifascista irriducibile: quando nacqui io, nel ‘25, si era nel pieno della battaglia contro il fascismo. Quando il mulino, presso il quale mio padre lavorava, si trasferì a venti chilometri da Scafati, lasciarono fuori mio padre, in quanto testa calda e antifascista. Non esistevano ancora ammortizzatori sociali. Era la fame, la disperazione per un uomo con una famiglia di sei persone, ed i figli tutti piccoli. Comunque, la vita scorreva ed, all’epoca, non esistendo tanti veicoli in circolazione, noi ragazzi abbiamo vissuto la nostra vita in strada: lì ci siamo formati.
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Ricordo che quando scendevo per raggiungere i miei amici per strada, mamma mi diceva ”Stai attento alle biciclette”. Abitavamo a qualche chilometro dalla stazione ferroviaria che era meta delle nostre peregrinazioni. Qui, vi era una squadra di operai e quando questi, a mezzogiorno, facevano la pausa per mangiare, un cuccioletto, che dormiva tra gli stracci, spuntava per piatire un poco di mangiare. Ho assistito a questo strazio per quasi una settimana, finché, un giorno, decisi di “rubare” il primo cucciolo della mia vita. Così, lo aggiunsi ad una micetta, pur’essa trovata, che già avevamo. Dopo un paio di mesi, il cuccioletto si ammalò ed, in pochi giorni, morì. Quella mia disperazione puntualmente si ripresenta, quando muore uno dei miei cani, che, per fortuna, ora sono piuttosto longevi. Il mio papà, notata la mia ipocondria, un bel giorno, tornò a casa con una micetta che mi fece dimenticare il cuccioletto. Che colore avesse o che colore hanno avuto tutti i cani che ho avuto, non lo so. Io sono uno di quelli che pensano che tutti gli animali sono un sorriso che scodinzola: quello che c’è, tra la testa e la coda, non conta.
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Nel 1943, durante lo sbarco degli alleati a Scafati, avviene la ritorsione dei tedeschi nei confronti della popolazione. I tedeschi catturano mio padre, mio fratello Gioacchino, più grande di me, un nostro operaio e, senza mezzi termini, li trucidano. Intanto, anche la mia micetta era morta e avevamo cambiato casa, andando a vivere nei locali attigui al panificio di nostra proprietà. Il dolore per la  perdita del marito e del figlio, per la mia mamma, fu talmente grande che fu costretta a letto per una serie di problemi, per circa un anno, tra la pazzia e la morte.

Vi era accanto al nostro panificio, una sorta di bar, il cui proprietario si chiamava “maste Abberto”, mastro Alberto. Aveva una cagnetta che, puntualmente ogni sei mesi, partoriva. Aveva avuto un’ennesima cucciolata e, naturalmente, io, quantunque, nella notte del 28 settembre 43, fossi passato dalla spensieratezza del diciottenne, sportivo, studente del secondo liceo classico, ad essere un uomo, adottai un cucciolo a cui imposi il nome di Tom, in onore degli alleati.
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Non riuscirò mai a descrivere e nessuno lo potrà mai descrivere l’amore, la gioia, la serenità, la carica di ottimismo, gli atteggiamenti che mi invento per comunicare al mio amico pelosetto il bene, l’amore, l’affetto e la mia capacità di immedesimazione ne i suoi confronti: ebbene, tutto questo il pelosetto lo rilascia, minuto per minuto, mille volte di più. Foscolo non se la prenderà, se approfitto di un suo verso per descrivere il nostro rapporto: ”celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi”.
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La realtà vissuta, giorno per giorno, il suo amore, il suo attaccamento alla mia mamma, saltando sul letto, giocando con lei, tirandole le coperte, il mordicchiarle le mani, leccarle il viso, restituì alla vita, almeno per un periodo, la mia mamma che eravamo rassegnati a perdere, dopo mio padre e mio fratello. Dalla madre di Tom, presi un altro cuccioletto per mio zio Pasquale (da cui prendo il nome), ma mio zio, considerandolo troppo piccolo, mi pregò di tenerlo ancora un poco presso di me: praticamente, rimase sempre con me e lo chiamai Gim (non Jim), sempre in onore degli americani. Si rifugiò, qualche tempo dopo, presso di me una lupetta.
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All’epoca, il problema delle sterilizzazioni, non si affrontava facilmente, come oggi. Vi erano, a scapito della della civiltà, i “rastapurcelle”, quegli assassini che, come ancora adesso, castravano i maialetti piccoli, senza anestesia. Così, io e la mia Lupetta prendemmo il pullman a Scafati fino a Pompei, poi la Vesuviana fino Napoli, infine, l’autobus fino all’università di Veterinaria, a via Foria, per sterilizzare la mia cagnetta. Ancora gli animali non avevano il permesso di viaggiare sui mezzi pubblici. Ogni mattina, per cinque giorni, partivo da Scafati con la ciotolina di Lupetta, raggiungevo la clinica universitaria, le portavo il latte, restavo un paio d’ore con lei e, poi, tornavo a casa.
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Ho accudito tanti cani nella mia vita. Una cagnetta, in particolare, Chicca. Per il mio impegno sindacale nazionale, ero costretto a stare fuori, tutta la settimana. La mia Chicca aveva già 15 anni ed il mio cruccio era quello di stare poco con lei. Sicché, nel 1987, andai in pensione, tre anni prima del tempo, appena in tempo. Due anni dopo, Chicca moriva.

Attualmente, accudisco un branco di ben venti cani: dodici vivono, in assoluta libertà, a Bosco Lupino, contrada di San Giorgio del Sannio (BN) dove ora io abito. Per 365 giorni all’anno, ricevono, ogni mattina, il loro pasto fumante, composto da crocchette, carcasse di pollo bollite e brodo del pollo. Sette cani sono a casa con me e uno vive in un condominio.

Adesso, a 84 anni, con una moglie e tre figli, già esponente nazionale sindacale, ancora responsabile nazionale della sezione animalista dell’associazione Accademia Kronos, posso dire che sono grato a questi miei piccoli amici: per 77 anni, mi hanno consentito di fare professione di amore, lealtà, sincerità, dedizione, pazienza, altruismo, sacrifici e di fare esercizio di quello spirito di immedesimazione che ti aiuta a capire i problemi degli altri.
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Questa ricchezza mi ha sempre accompagnato: nell’attività politica e sociale, nei rapporti con le persone, ma, soprattutto, nel mio impegno di sindacalista. Gigi La Monaca mi ha definito “l’uomo dei cani”. Mi gratifica che posso veramente affermare di non essere vissuto invano, avendo vissuto nel dare significato alla mia vita e di non averla sprecata.

Pasquale Casciello si racconta per la rubrica di Benevento EcoSolidale/Art’Empori, inserto di bMagazine, maggio 2009. 

Pasquale Casciello è scomparso il 9 dicembre 2015: era attivista dei diritti animali, ambientalista, anche con le associazioni della Rete Arcobaleno Benevento, e sindacalista.
Accudiva, in prima persona, numerosi cani.
Lo ricorderemo come un p’artigiano del cambiamento.

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http://www.ilvaglio.it/article/2567/pasquale-casciello-ricordo-di-un-uomo-che-ha-lasciato-il-segno.html

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